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Questa te la manda la mamma

Tra le righe, la rubrica di Enrico Neiretti

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Enrico Neiretti

La settimana scorsa il dibattito social è stato quasi interamente monopolizzato dai commenti ad uno spot pubblicitario realizzato da una nota catena di supermercati.

Per i pochi che non lo sapessero, questo notissimo brand della grande distribuzione ha pubblicato un cortometraggio in cui si racconta una piccola storia. Riassumo: una bambina ancora piuttosto piccola è nel supermercato con la mamma. Ad un tratto lei, la mamma, si volta e non la vede più. Parte angosciata alla ricerca della bimba (chi non è mai sobbalzato perdendo di vista i propri piccoli?) e la ritrova rapidamente di fronte al banco delle pesche. Acquista la pesca alla bimba e tornano a casa. Sono sole, madre e figlia. Dopo un po’ di tempo arriva il padre a prendere la piccola. Si capisce che la coppia è separata. La bimba prende le sue cose e porta con sé la pesca. Quando sale sull’auto del padre gli porge la pesca dicendogli: “Questa te la manda la mamma”.

Molti hanno aspramente criticato lo spot. Altri hanno invece preso spunto per affermare i propri convincimenti sulla famiglia. Ne è uscita una discussione infinita con l’inevitabile discesa in campo degli esperti della comunicazione, dell’infanzia, di psicologi, sociologi, preti, associazioni e di quella nuova leva di opinionisti che io chiamo “influencer della militanza”. E naturalmente, a ruota, si sono susseguite le reazioni di tante persone che a vario titolo si sono sentite toccate sul vivo dalla storia.

Ora, per quanto possa valere la mia idea, credo che a parte le categorie “professionali” di cui sopra, che portano avanti le proprie linee editoriali e non si sono fatte scappare l’occasione per riempire le loro bacheche “business”, ognuno abbia letto lo spot semplicemente sulla base della propria sensibilità, del proprio vissuto, dei propri convincimenti. Maturandone sensazioni differenti, tutte rispettabilissime, talune di conforto, altre di fastidio.

Mi interessa poco stare a dibattere sul significato dello spot, sulle sue presunte implicazioni sociologiche, politiche, culturali. In molti l’hanno già fatto, in maniera spesso un po’ sopra le righe.

L’unica osservazione che mi sento di fare è che qualsiasi eventuale dibattito sul divorzio porta con sé un carico di anacronismo e di incrostazione ideologica che lo rende inutile e stucchevole. La legge sul divorzio esiste in Italia da più di cinquant’anni e nessuno che abbia un minimo senso della realtà si sognerebbe mai di metterla in discussione. In buona sostanza credo che si sia dibattuto oziosamente per giorni.
La sensazione che ho provato io, in questo mare di discussioni non sempre serene, di rimostranze e critiche, è che in fondo si sia persa la capacità di cogliere la tenerezza.

Poco importa se questa immagine di tenerezza arriva da uno spot pubblicitario ed è dunque “viziata” da un intento commerciale. A me viene istintivo focalizzarmi su questo, sulla scena in cui la bambina dona la pesca al papà.

Non mi interessano molto le letture analitiche di questo gesto; a me semplicemente quella scena rimanda a situazioni di tenerezza che ho provato come padre, alla ingenuità dei bambini, al gesto semplice, ininfluente eppure carico di speranze, di cui si incaricano le persone più innocenti –i bambini appunto, ma potrebbero essere anche gli anziani- che non hanno altri strumenti per incidere sulla realtà.
Io credo che la tenerezza sia un momento di catarsi capace di distoglierci per un attimo dall’intossicazione dei pensieri cinici, ostili, utilitaristici e di riportarci almeno per un po’ ad una dimensione più umana, leggera, in cui i nostri desideri autentici si possono ancora realizzare, al di là della razionalità, al di là delle ragioni, al di là di tutto.

Ecco, è questo il pensiero che ho fatto, è questa l’emozione che ho provato. Un tempo forse non avrei fatto una riflessione del genere; ma uno dei vantaggi dell’età matura è la capacità di guardare alle vicende con un po’ di distacco e di cogliere il senso dei piccoli gesti.
Lamento spesso, parlando con le persone che mi sono vicine, di come nel nostro mondo si sia perso il senso della tenerezza. Lo osservo nel linguaggio quotidiano, nelle storie di cinema e televisione, nella musica, persino nelle voci delle persone: tutto appare aspro, competitivo, alieno da ogni sentimentalismo.

Io invece di quella tenerezza sento il bisogno. E sono convinto che ce ne sarebbe bisogno a livello generale.
E sono altresì certo che la tenerezza non sia debolezza, arrendevolezza, incapacità di misurarsi con le questioni spinose della vita. Non è questo, non è una fuga in una dimensione di innocenza fasulla. E’ uno spazio di sentimento e di spontaneità che è necessario per vivere. Almeno a me.

Enrico Neiretti

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1 Commento

1 Commento

  1. Ardmando

    8 Ottobre 2023 at 8:44

    Italia, paese di bigotti, falsi benpensanti e “so tutto io”. La campagna pubblicitaria in oggetto è bella e ben fatta, e poco importa se non rientra nei canoni di quelli che l’hanno criticata: è evidente che ha fatto centro.

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