Attualità
Paolo Maruzzo: «Il calcio di oggi a volte mi fa schifo»
Vestì la maglia del Vicenza con Paolo Rossi, indossò anche quella bianconera della Biellese

Paolo Maruzzo: «Il calcio di oggi a volte mi fa schifo». Ex giocatore di calcio, ma volendo essere precisi ha lavorato sul calcio, con il calcio tutta la vita. Ha sfilato nelle squadre minori tipo Biellese, Pro-Vercelli e Pro Patria e poi è arrivato in Serie A con il Vicenza.
Paolo Maruzzo: «Il calcio di oggi a volte mi fa schifo»
Le chiederei uno sforzo di memoria, quando è stata la prima volta che ha dato un calcio a un pallone? Se la ricorda?
So che avevo otto anni e giocavo nel Gaglianico. Da lì ho cominciato, poi mi hanno preso di qua e di là, praticamente ho cominciato a girare le squadre.
Per arrivare ai livelli ai quali è arrivato, in A, occorre solo bravura o bisogna anche avere un pizzico di fortuna?
Ci vogliono tutte e due, soprattutto un po’ di fortuna perché succede che se ti fai male o qualcosa, praticamente scompari dalla scena. Invece se rimani sempre in zona praticamente rimani sempre sotto tiro.
Per giocare bene al pallone basta avere piedi buoni o serve anche la testa?
Io sono convinto che ci vuole anche la testa (io avevo una gamba sola ed era la sinistra) che usavo molto bene. Però non solo per il calcio ma anche per il resto, diciamo per le cose personali.
Si ricorda il primo gol che ha segnato?
Da piccolino ne facevo parecchi, poi più si sale di categoria, più diventa difficile.
È vera la favola secondo la quale l’attaccante riesce a segnare solo se gli passano la palla? Se non gliela si passa è difficile arrivare alla porta avversaria?
Dipende dal ruolo che si fa. Ad esempio l’attaccante centrale, deve fare gol. Invece giocando come ala, puoi essere un giocatore che sa fare gol e anche giocare a centrocampo e via.
Non so se lei segue ancora il calcio, in ogni caso trova differenza tra il calcio di ieri e quello di oggi?
Noto una differenza enorme.
E quale sarebbe?
Secondo me il calcio di una volta era basato sulla bravura, su gesti individuali, e i giocatori erano proprio fenomeni diciamo. Mentre adesso è più basato sul gruppo.
Per quanto riguarda gli anabolizzanti, che hanno avuto sviluppo negli anni 60-70, si usavano già ai suoi tempi?
Secondo me sì. Praticamente non si sapeva ma si faceva.
Quindi c’erano già?
Io non lo so, però per intuito le direi di sì.
I procuratori, gli osservatori c’erano già ai suoi tempi o c’era un calcio più naif? La figura dell’allenatore era la stessa?
Sono diventato allenatore anch’io, al termine della mia carriera. Era un modo di vivere il calcio diverso.
Può spiegare?
In poche parole, diciamo che tra quelli che insegnavano e quelli che imparavano, che erano giocatori, c’era più affinità.
Forse è una leggenda, ma si dice che i giocatori vivono bene la vita. Dalle veline alle serate, ai suoi tempi c’erano già queste storie?
Ci sono sempre state secondo me. Da quando mondo è mondo praticamente sia nel calcio che in altri sport. È la notorietà secondo me che ti porta anche a quello. Siamo persone conosciute e più sotto riflettori di altre, se tu sei conosciuto arrivi dove secondo me altri non arrivano.
C’è una marea di giocatori stranieri in Italia. Questo farebbe pensare che c’è bisogno degli stranieri. È così o è una moda?
Lo straniero è visto bene perché riesce a sopperire alle difficoltà dei nostri giocatori. Che in questo momento fanno fatica a essere valorizzati, a mostrarsi per quello che sono.
Lei ha militato in parecchie squadre. Qual è una squadra che le è rimasta più nel cuore di altre?
La Pro Vercelli.
Come mai?
Perché praticamente venivo da una squadra di serie A. Però a Vercelli, in una realtà semi-professionistica mi hanno voluto bene subito e mi sono integrato a meraviglia.
Poi lei ha allenato i ragazzini del Villaggio Lamarmora e della Chiavazzese.
Era una cosa che mi piaceva molto. Mi era rimasto quello che avevo imparato nel settore giovanile del Vicenza, dove mi avevano insegnato a essere paziente con i bambini.
E lei era paziente?
Abbastanza, non del tutto perché ogni tanto vai un po’ fuori di testa per tenere a bada venti ragazzini. Non è facile, devi averne molta di pazienza.
Una domanda un po’ delicata: il calcio scommesse c’era già ai suoi tempi?
Secondo me sì, non si vedeva ma c’era, non era visibile.
E lei come l’ha vissuto? Le faceva rabbia questa storia?
L’ho vissuto abbastanza bene perché non mi sono proprio interessato di questa cosa.
No?
No, assolutamente no, sentivo parlarne ma non mi interessava.
Dove ne ha sentito parlare?
Quando ero nella Pro Vercelli.
Adesso, secondo lei, dove sta andando il calcio italiano?
È difficile da spiegare. Ci sono momenti in cui sembra che si riprenda, che abbia un certo valore. Invece ce ne sono altri nei quali, se posso essere schietto, fa schifo.
Sia gentile Paolo, qual è la squadra che più le fa schifo?
Io sono interista di natura, il resto per me non conta niente…
Tra gli altri personaggi ha giocato con Paolo Rossi, leggenda del calcio, che ricordo ha di lui?
Mi ricordo che praticamente è esploso quando giocavo con lui. Si vedeva proprio che era di un’altra categoria. Non mi vergogno a dirlo, io ero meno forte di lui. Poi eravamo due persone diverse nel giocare. Lui era una punta vera, un numero 9, io invece ero quello che giocava sempre sulla sinistra. Si vedeva proprio che era bravo.
I calciatori guadagnano parecchio, secondo lei è giusto?
Secondo me sì, perché sono esposti. Possono essere bravi o meno bravi, ma sono sempre sotto gli occhi della gente. E’ giusto che siano pagati come attori, diciamo.
C’è qualcosa che vorrebbe dire di sua iniziativa a chi leggerà questa intervista?
L’unica cosa che ci tengo a fare è ringraziarvi per esservi ricordati di me, tutto qui.
Ma lei è stato famoso nel calcio italiano…
Sì, va bene, ma piano piano adesso sono finito nel dimenticatoio. E fa piacere che abbiate riportato alla luce attraverso questa intervista una mia passione.
LEGGI ANCHE: Giancarlo Bercellino è tornato a Cossato
Continua a leggere le notizie de La Provincia di Biella e segui la nostra pagina Facebook
