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Paolo Cerlati: «Vivo per la mia amata musica»

Parla il noto batterista ed esperto di musico-terapia: «Ho iniziato suonando le campane della chiesa del Piazzo, che bei tempi»

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BIELLA – Prosegue con notevole soddisfazione il nostro emozionante e meraviglioso viaggio fra gli anziani del Biellese. Ogni settimana raccontiamo una nuova storia sempre diversa. Se anche voi volete essere intervistati scrivete a direttore@nuovaprovincia.it o chiamate la redazione al numero: 015.32383 oppure 346-7936093 (Mauro Pollotti).

Questa volta ad essere intervistato è un personaggio molto noto, non solamente a Biella, ma in tante zone dell’Italia.
I suoi familiari avrebbero voluto vederlo seduto in un ufficio bancario dietro alla scrivania, invece lui ha dedicato la sua vita alla musica.
Paolo Cerlati, noto batterista ed insegnante di musico -terapia racconta così i suoi 78 anni, tra l’altro compiuti proprio oggi: «Ciao Mauro, esordisce ironicamente – vuoi sapere dove sono nato? Così precedo la tua domanda. A Gavardo, un piccolo paesino della provincia di Brescia. Sono venuto alla luce in una cascina. Mio papà Giulio e mia mamma Vanda Mazzei erano ricercati dai tedeschi. Papà era un maresciallo dei carabinieri, l’8 settembre del 1943 aveva deciso di scappare con i Partigiani. Ero l’ultimo di quattro figli dopo Sandro, Giulio e Mario».
Quindi dalla Lombardia in Piemonte. A che età sei arrivato a Biella?
«Ero piccolissimo, appena finita la guerra. Mio papà era stato trasferito a comandare la vecchia caserma dei carabinieri di Biella Piazzo. Fin da quando si era arruolato, era un carabiniere a cavallo. Ho dei bei ricordi che mi riportano indietro negli anni della mia infanzia. Quanta nostalgia c’è in me al solo pensiero di quand’ero piccolo. Eravamo tutti al Piazzo. Avevo frequentato i primi tre anni delle scuole elementari in piazza Cucco, poi la quarta e la quinta alla De Amicis di Biella Piano. Che bei ricordi ho nel cuore di quando salivo e scendevo giù per le coste del Piazzo. Erano tempi davvero belli».
A che età hai capito che la voglia di fare musica cresceva dentro di te?
«Ero bambino. Ricordo che mio fratello Mario cantava in chiesa esecuzioni a quattro voci. Io mi chiedevo sempre: “Come fa a cantare così?”. A me invece il parroco faceva suonare le campane, allora con le corde legate alla tastiera. Ricordo che un pomeriggio di una splendida giornata di sole le stavo suonando. Mentre guardavo verso il campanile ho visto un cielo azzurrissimo che si confondeva con il suono delle note. Ero al settimo cielo. In quel momento ho pensato: la musica è tutta la mia vita. Avevo sette anni».
Ti stavi quindi appassionando alla musica, ma senza tralasciare la scuola.
«Certamente. Le medie le avevo fatte ai Salesiani per continuare con le superiori fino a ottenere il diploma da ragioniere. Questo percorso lo aveva scelto mia mamma, ma io volevo fare il musicista, non l’impiegato. Mi iscrissi quindi all’Università nella facoltà di Lettere all’indirizzo artistico. Non mi laureai, diedi solamente una decina di esami, quelli che più mi piacevano. In seguito mi dedicai ai corsi della pedagogia e alla didattica della musica. Era il 1978 quando andai in Ungheria all’Università di Esztergom per studiare il metodo Koday. Ne seguirono poi molti altri. Iniziò così la mia carriera da docente. Nel mio atelier di via Italia negli anni ho ospitato tutti i pedagogisti più famosi a livello internazionale. Sto insegnando ancora oggi».
Quindi, professor Cerlati, parliamo invece della tua musica, quella suonata.
«Avevo 15 anni, quando con degli amici fondammo il gruppo i Black Devils (spiega ridendo, ndr). Indossavamo tutti la dolcevita, era il periodo degli esistenzialisti. Facevamo brani rock. Iniziò così la mia carriera da batterista. In seguito suonai con altri gruppi, per citarne uno: I corsari, poi diventati i New Blues. Poi con un pianista molto bravo, Jones Finotti. Sua moglie e Gigi Finotti mi chiamarono per andare a suonare con loro nei piani bar. Fu una bellissima esperienza. Dopo un anno cambiai rotta nel vero senso della parola: venni chiamato per suonare su una nave da crociera. Navigai per 11 mesi. Mi pagavano molto bene, girai il mondo».
Paolo tu sei sposato?
«Sì, due volte. La prima durò tre anni, poi conobbi Anna Maria. Viviamo insieme da 45 anni. Dalla nostra unione nacque Gaia. Ci conoscemmo grazie alla musica. Lei era amica del cantante degli Odissea. Diciamo che proprio con loro arrivò la svolta dal punto di vista professionale e della notorietà. Suonammo addirittura in eurovisione nel 1972 nel gruppo dei giovani delle nuove tendenze al Lido di Venezia. Eravamo spesati dalla Rifi Records. Accompagnammo il cantante Michele, c’erano Fausto Leali, Giuliano e i notturni. Un sogno che andò avanti fino al 1977, fino a quando gli Odissea vollero andare avanti in un percorso che io non condividevo».
Quindi?
«A quel punto iniziai ad insegnare a tempo pieno musico terapia, pedagogia e didattica, nel mentre davo lezioni di batteria».
Ora, alla luce dei tuoi 78 anni, come trascorri il tempo libero?
«Lavoro, continuo a tenere vari seminari di musico-terapia a spasso per l’Italia, soprattutto ad Assisi, dov’è nata. Poi compongo musica, scrivo libri, ho fatto 17 pubblicazioni, insomma non mi stufo».
La musica che cosa ha dato a Paolo Cerlati?
«Una possibilità di osservare il mondo da un certo punto di vista: quello della dimensione artistica e della bellezza. Mi ha regalato la possibilità di essere sano all’interno».

 

Mauro Pollotti

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1 Commento

1 Commento

  1. giacomo

    6 Ottobre 2022 at 10:29

    Un MITO

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