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«Non so cosa voglia dire stare fermo, sempre travaià»

Enrico Ottina, 76 anni, nato alla Margherita, borgata a cui è affezionato, racconta la sua vita trascorsa fra lavoro e impegni sociali

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COSSATO – Lo chiamano tutti Ricco e lui ci scherza, dice che è sempre stato “ricco”. All’anagrafe è Enrico Ottina ed è nato 76 anni fa alla frazione Margherita.

«Sono stato battezzato nella chiesetta di Santa Margherita, che si trova accanto a Villa Fecia, la residenza che porta il nome della storica famiglia che ha dato vita al borgo – racconta -. A 15 anni ho iniziato a lavorare alla “Manifatture Gallo”, in tessitura, ho poi avviato un’attività in proprio, vendevo generi alimentari. L’ho fatto per una quindicina di anni, girando con il furgone, facendo servizio porta a porta nel Biellese e nel Novarese. Avevo fatto dei bei giri. Con la crisi e la diffusione dei centri commerciali, quando due più due faceva ormai tre, ho smesso e sono passato a un lavoro in tintoria. Sono andato in pensione nel 2003/2004, però non sono mai stato fermo. Non posso. Non so cosa voglia dire perché sono stato abituato a lavorare fin da quando ero piccolo, sèmpe travaià la tèra.
Ricordo che in frazione c’erano quindici ragazzini e ci divertivamo tutti insieme, quando si poteva, perché c’era sempre tanto da fare in famiglia, come fé al fèn, fare il fieno».

Per mostrarci il loro regno, Enrico alza lo sguardo e indica gli alberi del vicino bosco.
«Facevamo di tutto, dalle case sugli alberi alle battaglie con i ragazzi del Cerro. Al di qua del ruscello, del rio Clarolo, era territorio nostro, ma sempre senza fésé mal, senza ferirci. Una volta siamo arrivati con un’arma pericolosa, ma dopo averla provata, l’abbiamo subito eliminata. Avevamo utilizzato le bacchette in ferro di un ombrello per fare le frecce di un arco. Le nostre armi erano semplici, magari si lanciava un sacchetto di sabbia.

C’era poi una signora che aveva la televisione e allora si andava a guardare “Le avventure di Rin Tin Tin”, “Torna a casa Lassie!” e “I ragazzi della via Pál”. È da quest’ultimo film che noi avevamo copiato l’idea delle due fazioni che battagliavano.
All’età di 11 anni, mio papà Silvio aveva preso dallo zio Natale della Garella una macchina per tagliare l’erba e fare fieno. Da quel giorno ho iniziato a tagliare e iù taiane tanta nei pezzi di terra che avevamo in giro, perché alla Margherita era tutto del conte Fecia».

Con la pensione, Enrico si è occupato tanto della sua frazione, dalla chiesetta, di cui si prede cura ancora oggi, all’orto.
«La chiesa ha bisogno di manutenzione, soprattutto il campanile che rischia di crollare, e il tetto, quando piove entra acqua.
Con i fatti degli ultimi due anni, non si è potuto organizzare più nulla, per via del distanziamento – spiega ancora -, ma prima si facevano cose belle.

Abbiamo un forno antico, di proprietà di undici case, come scritto nel catasto, di recente ristrutturato dalla Pro loco, che ha gestito le spese.
Oltre a organizzare la festa del pane nel mese di luglio, per due anni erano venuti i bambini della scuola primaria di Ronco, con le loro pagnottine da fé cose, – da far cuocere -. Era stato bellissimo, indimenticabile.

Per fare il pane bisogna accendere il forno due giorni prima e poi ci vuole esperienza. Avevamo una persona in gamba che ci aiutava. Adesso noi non siamo più capaci, viene bruciato.
Avevamo anche un secondo forno, ma purtroppo non c’è più».

 

Anna Arietti

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