Attualità
L’identità del “porcone”
Pare sbollita la vicenda del porcone trovato da chi cercava lavoro. Anche se apre più di un interrogativo sul vivere contemporaneo tra social network, giornali locali, video nazionali e pruriti voyeuristici. E qualche domanda che non sia “ma chi è?” potremmo anche tentare di pòrcela.
Pare sbollita la vicenda del porcone trovato da chi cercava lavoro. Anche se apre più di un interrogativo sul vivere contemporaneo tra social network, giornali locali, video nazionali e pruriti voyeuristici. E qualche domanda che non sia “ma chi è?” potremmo anche tentare di pòrcela. A seguito del video delle Iene televisive, in città la caccia all’identità dell’uomo si è scatenata, con buona pace d’ogni privacy possibile e, soprattutto, plausibile.
La differenza tra possibile e plausibile sta tutta nell’opportunità di evitare che il soggetto in questione possa continuare con le sue estemporanee selezioni del personale (dell’azienda e delle aspiranti lavoratrici). Ma il sospetto che la caccia al nome non fosse altro che la pruriginosa voglia, più o meno inconfessabile, di alimentare lo stupore col gossip resta. Siamo una città di provincia: a volte più provinciale della provincia, così come qualcuno si ritrova, spesso, a essere più realista del re. Essere una città di provincia, non è che sia un’accezione del tutto negativa. Ma è quello che, probabilmente, ci impedisce un salto in avanti nell’atteggiamento mentale. Con la percezione di essere un riflesso del mondo, non ci rendiamo conto che a rifletterci è uno specchio.
È anche comprensibile che il desiderio di sapere il nome e cognome del “porcone” rientri nel novero delle reazioni più banalmente umane, ma è un istinto che ci coglie soltanto di fronte a un possibile argomento di conversazione nel bar sotto casa o nel social di riferimento. L’idea che il fatto in sé sia, magari e purtroppo, pratica diffusa anche nel resto di quella grande provincia che è l’Italia ci sfiora soltanto, nel migliore dei casi. Che la donna, spesso in quanto tale, debba subire questo genere di vessazioni nel mondo del lavoro, nel nostro terzo millennio emancipato ci preoccupa solo se è possibile sputtanare – comprensibilmente in questo caso, intendiamoci – il vicino di casa. Servirebbe una sana presa di coscienza e un’azione a seguirla. Ma ciò, a Biella e in questa grande provincia che è l’Italia, sembra relegato nel solo ambito della dialettica, quando va bene.
Quando va male si assiste al sorriso di quella giovane donna che, nel video, sembra giustificare con un sorriso l’atteggiamento del principale. È questo il cortocircuito: che la complicità nasca dalla necessità. E che sia quella di un lavoro dà la misura dell’umiliazione che alcune donne, in tema di molestie sessuali, subiscono. Che lo facciano loro malgrado o meno.
Lele Ghisio
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