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Io non dormo tranquillo

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Quello delle Iene televisive è sicuramente un lucido tempismo. Tra l’innocuo esorcismo di Halloween e il nostrano giorno dei morti e della loro memoria, che celebriamo fiorendo di colori le pareti dei cimiteri, ci parlano di noi e dei nostri lati oscuri. Così, oltre all’inevitabile rimbalzo social del servizio tv sull’allegra gestione del forno crematorio, torniamo alla ribalta nazionale per il nostro saper fare e disfare.   Eppure qualcuno dorme tranquillo, anche dopo aver rigirato la lama nella piaga del dolore di almeno 600 famiglie. Un dolore insoddisfatto, privo di riferimenti da dare alla memoria; di un lutto ora impossibile da elaborare sottobraccio al tempo che passa. Un dolore impossibile da sedare, nemmeno con un mazzo di fiori colorati poggiati sul ciò che resta di un affetto.
Di ribalte nazionali ne abbiamo avute, negli anni, oggettivamente poche: un po’ perché gelosi e fieri della nostra isola felice e del suo basso profilo pubblico; un po’ perché privi d’argomenti che non fossero disgrazie piovute dal cielo come alluvioni, quelle di un ’68 di lotta nel fango e altre bare messe in fila da quel diluvio che non ci ha più fatto dormire tranquilli. Solo la folle lungimiranza di un mobilificio ci rese famosi in tutt’Italia, isole comprese.

Ma il fordismo imprenditoriale d’allora, con lo sguardo perso nell’ombelico di un distretto tessile, tentò di scrollarsi di dosso questa notorietà ingombrante, che riusciva là dove lui aveva fallito. Per volontà o povertà d’idee, poco importa. A pensarci adesso, non so se davvero sia paradossale oppure sia la diretta conseguenza di quell’atteggiamento, ma bruciare cadaveri a cottimo è quello per cui siamo tornati in balia della visibilità nazionale. Saper fare, anche nella peggiore delle invenzioni imprenditoriali: gestita in un modo così amorale da chi dorme tranquillo, mentre costringe i clienti a una dolorosa veglia.

Ha un che di creativo, l’idea di bruciare corpi sottocosto, se pensata a ridosso della certificazione Unesco. Ma è un’ironia da quattro soldi, priva della giusta dose di risentimento nei confronti degli autori e di umana empatia per chi ne ha subito gli atti. Impressiona però la sicumera di uno dei responsabili, che invoca rispetto mentre lui continua a dormire tranquillo.

Siamo tornati a far parlare di noi in un’Italia contemporanea in cui non è facile vivere, per dimostrare che qui è difficile anche morire. Non sarà facile tirarsene fuori, e questo servizio a distanza di un anno lo ha dimostrato. Ci sarebbe di che imputare ai responsabili, oltre ai reati e al disumano malaffare, un danno d’immagine alla città e al territorio. Un peso in più, per chi proprio non riesce più a dormire tranquillo, come loro invece continuano a fare.

Lele Ghisio

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