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“Immagini-amo”: parole dietro l’obiettivo di Stefano Ceretti
Il fotografo racconta la sua storia e il suo percorso tra momenti iconici, riflessioni personali e aneddoti
“Immagini-amo”, parole dietro l’obiettivo di Stefano Ceretti. Di solito cattura momenti e li immortala per sempre raccontando una storia. Stavolta ha deciso di raccontare la sua storia non solo attraverso un obiettivo, ma anche attraverso le parole.
Lui è il fotografo professionista Stefano Ceretti e il libro recentemente pubblicato si intitola “Immagini-amo”. È un viaggio alla ricerca dei momenti più significativi del suo percorso artistico attraverso immagini iconiche, riflessioni personali e aneddoti dietro le quinte. Lo presenterà nel suo studio in viale Matteotti 25 a Biella domenica 13 ottobre.
“Immagini-amo”, parole dietro l’obiettivo di Stefano Ceretti
Stefano quando è iniziata la lunga storia d’amore che racconta in “Immagini-amo”?
Tutto è iniziato in seconda media, quando Don Piero, mio insegnante di Lettere, mi portò per la prima volta in una camera oscura. Quel foglio bianco che dopo pochi secondi di immersione in un anonimo liquido trasparente si trasformò, quasi per magia, in un’immagine fotografica è stato per me una vera e propria folgorazione. Dopo la Minox regalata dai miei genitori per la promozione, a 14 anni spesi per una macchina Contax i risparmi che un mio coetaneo avrebbe investito per il tanto agognato Ciao. La passione della fotografia si era già impossessata di me.
Come nasce l’idea di un libro?
Era un pensiero che mi girava in testa da un po’, senza mai trovarmi veramente pronto. Fino a due giorni prima di Ferragosto, quando mi sono detto: “Lo faccio!”. Sentivo l’esigenza di ripercorrere le tappe fondamentali del mio percorso artistico svelando le emozioni che hanno accompagnato alcuni degli scatti più rappresentativi.
C’è un passaggio cruciale della sua vita che ha segnato anche la sua carriera artistica?
Sicuramente il 2001, anno in cui ho affrontato un linfoma non-Hodgkin, che mi ha costretto a diversi cicli di chemioterapia. In quel frangente ho sentito cambiare la percezione del mondo intorno a me, fino ad allora visto in modo freddo e distaccato. È cambiata la mia capacità di emozionarmi. E questo ovviamente non poteva non ripercuotersi sulla fotografia, sempre più unico mezzo per esprimere i miei sentimenti.
Questa mia nuova consapevolezza è presente nella serie di scatti “Voli”, nata nel 2009. Sono fotografie che ritraggono i gabbiani del lago di Viverone nella luce tenue e velata dell’autunno. Il primo lavoro che mi ha reso davvero soddisfatto di me, tanto da riuscire a definirlo “artistico”. Quelle immagini verranno successivamente esposte e pubblicate, oltre che in Italia anche in Giappone, Sudamerica e Francia.
Poi fu la volta di Black Hands White nel 2012.
Si tratta di 45 immagini, rigorosamente in bianconero, delle mani di un uomo e una donna di colore che raccontano i giorni difficili del mio linfoma. Sono state esposte anche a Berlino e New York.
Come nasce invece il progetto #Feelpeople?
Poco prima del viaggio a New York per la mia mostra Black Hands White, avevo fatto stampare su una maglietta questo strano hashtag. Con quella t-shirt addosso ho iniziato quindi a scattare ritratti di strada nella Grande Mela. Per poi continuare ovviamente in Italia, ma anche in Marocco, Cambogia, Cina, Londra, Parigi, Amsterdam. E in ogni luogo dove ho avuto modo di dedicarvi del tempo. Un esperimento di street photography e di socializzazione che due anni più tardi sarebbe diventato un marchio registrato.
Che rapporto ha con la ritrattistica?
Dopo la pausa forzata dovuta al Covid mi sono reso conto di come la mia sensibilità verso il cosiddetto “elemento umano” fosse cresciuta a dismisura. Il ritratto necessita di un punto di vista empatico. Quello che si crea con un cliente in studio quando viene a farsi ritrarre è un rapporto intimo. Spesso alle persone insicure della loro immagine dico: «Fidati di me per quindici minuti». Rapportarmi con le persone entrando nella loro intimità e mostrarne la stessa con uno scatto è un qualcosa che richiede tempo, empatia, sensibilità. Ed è qualcosa di cui non posso più fare a meno.
Cosa sogna Stefano Ceretti nel suo futuro?
Una Leica e scatti senza l’obbligo di farli.
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