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Dall’università al red carpet di Venezia: speleologa biellese alla Mostra del Cinema

Denise Trombin nel cast del film “Il buco”, opera del regista Frammartino che è stata presentata sabato scorso in laguna

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Si intitola “Il buco” ed è il nuovo film del registra Michelangelo Frammartino che è stato presentato sabato scorso alla Mostra del Cinema di Venezia, raccontando l’avventura di un piccolo gruppo di speleologi che negli anni ’60 scoprirono l’Abisso del Bifurto, all’epoca una delle grotte più profonde del mondo con i suoi 700 metri di profondità. Nel cast, tra i dodici protagonisti, compare anche la biellese Denise Trombin, che interpreta il ruolo di una esploratrice e speleologa, in questo ambiente scuro e difficile che il film rappresenta come volutamente “ostile” sia per gli aspetti tecnici che per quelli psicologici.

Come si è avvicinata alla disciplina della speleologia?
«Sono sempre stata interessata alla natura, ma l’incontro con la speleologia è stato del tutto casuale. Per la laurea triennale in Scienze Biologiche ad Alessandria scelsi di portare una tesi in Zoologia, effettuando una ricerca su una specie molto rara di pipistrello, contribuendo, in questo modo, alla conservazione di una colonia presente nella provincia di Alessandria. Questo mio lavoro venne notato da un’associazione del settore, che mi chiese di iniziare a seguire le loro attività. Il giorno stesso andai a cercare su Internet corsi di speleologia in zona. All’epoca vivevo ad Alessandria e uscì fuori che il più vicino come date e il più fattibile era proprio a Biella. Sono quindi tornata nel Biellese, la mia terra d’origine, dove ho conosciuto il Gruppo Speleologico Biellese CAI, di cui sono diventata membro del consiglio».

Quando ha compreso che voleva fare di questa sua passione un mestiere?
«L’ho scoperto subito dopo la prima spedizione. Il corso funziona così: ci sono due giorni di insegnamenti in pareti esterne e poi il terzo giorno si va in grotta. Dopo la prima esterna, sono tornata a casa e ho provato la stessa sensazione che si prova quando ci si sente innamorati di qualcuno: non sentivo la fame né la stanchezza, mi sentivo al settimo cielo e continuavo a pensare solo ed esclusivamente a ciò che avevo fatto e visto. Da quel momento mi sono sempre più specializzata nell’esplorazione del mondo sotterraneo, facendo esperienze anche all’estero e allargando lo studio degli animali sotterranei».
Durante queste spedizioni ha mai avuto la sensazione di essere in pericolo?
«È una sensazione che si prova molto spesso quando ci si trova sottoterra perché comunque sono ambienti ostili, che richiedono mille attenzioni, tuttavia allo stesso tempo è una situazione unica perché ti riporta ad uno stato primordiale, dove c’è l’essenziale. Si crea una dinamica di gruppo in cui si è tutti uguali, senza cose materiale o comfort di alcun tipo. In più c’è il silenzio più totale, che è un qualcosa che nel mondo esterno si fatica a trovare poiché siamo costantemente esposti a rumori e bombardati da informazioni. Invece in quel contesto ci sei solo tu e la roccia. Quello sottoterra è un mondo incredibile, un microcosmo connesso con l’esterno, ma allo stesso tempo un po’ a sé».
La partecipazione a questo film in che modo ha inciso sulla sua vita professionale e non?
«Aver partecipato a questo film mi ha permesso non solo di vivere un’esperienza arricchente in cui ho scoperto una terra meravigliosa, ossia la Calabria, ma anche e soprattutto mi ha aperto un mondo nuovo. Ho cambiato totalmente visione di ciò che mi circonda, della vita e delle possibilità. Mi sento rinata e libera. Anche perché prima di allora, facevo un lavoro che non mi soddisfaceva. Ho deciso di licenziarmi per partecipare a questo progetto in cui ho sempre creduto molto e finalmente sto raccogliendo i frutti».
Oggi che effetto le fa partecipare a questa indimenticabile esperienza su uno dei palcoscenici più prestigiosi del mondo?
«È un’emozione inspiegabile e inaspettata. Ricordo sempre la frase che mi disse all’inizio uno degli speleologi del gruppo di Biella: “ricordati che la speleologia non paga”. Oggi scherzosamente glielo rinfaccio. Essere qui è una bella soddisfazione, ma tuttavia ciò che mi disse riflette una grande verità: la speleologia è una disciplina che riscuote poco interesse e di conseguenza poche sovvenzioni. Tutti i materiali che servono per le spedizioni sono a carico dei volontari. Inoltre, ancora oggi non esiste una definizione giuridica di questa disciplina, poiché la speleologia non è uno sport, non è una scienza, non è un hobby; ma è tutte queste cose insieme. È un qualcosa di ancora sconosciuto e a cui non viene riconosciuta la giusta importanza o ne vengono fraintesi gli scopi».
Però il fatto che venga presentato questo film alla 78esima edizione della Mostra cinematografica di Venezia è senz’altro di buon auspicio…
«Assolutamente sì. Siamo ancora lontani dalla meta, ma indubbiamente è un buon inizio. Mi auguro che faccia crescere non solo la curiosità, ma soprattutto che porti più persone ad avvicinarsi a questa disciplina e ad operare attivamente. Noi, come gruppo, organizziamo delle gite per chi non è mai stato in grotta e alcuni si appassionano. Oggi in Italia siamo circa 20 mila, veramente pochi rispetto a quello che c’è da fare e da scoprire. Quindi siamo sempre alla ricerca di persone che vogliano entrare in questo mondo. Speriamo soprattutto nei giovani, che purtroppo, trattandosi di un lavoro faticoso in cui ci si sporca le mani, scarseggiano. Proprio per questo stiamo iniziando a proporlo nelle scuole, soprattutto nelle superiori, in modo da connetterlo a materie di studio come fisica, chimica, biologia e storia. In questo mondo artificiale, dovremmo un po’ tutti riappropriarci del contatto con la natura e con la terra, che sono le nostre radici».

Sofia Parola

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