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I volti di cioccolato tra noi pallidi biellesi

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Quando me lo domandano, ancora non so cosa rispondere: non lo so. Se mi chiedono un parere sulle migliaia di persone che attraversano il mare per raggiungere il nostro Paese, mi rendo conto di non averlo. Ultimamente, la mia vita è scandita da continue scelte e molto spesso mi trovo in difficoltà nel districarmi in questa o quella situazione. Capita, sono così giovane e inesperta. Raramente, però, mi succede di non riuscire ad estrapolare nemmeno uno spaiato pensiero da quel mio gomitolo ingarbugliato, incellophanato in un foulard da due penny. O meglio, raramente mi succede di non trovare le fottute parole per estrarre da quel gomitolo intricato un pensiero fatto, finito, e probabilmente stupido, ma pur sempre un pensiero.

Sapete cosa rincresce più di tutto a me, che sono un “uno”, – soprattutto – un “nessuno”, ma pure un “centomila” a proposito di questa delicata correlazione tra vite umane e biellese? La cattiveria. Noi e la nostra avvilente cattiveria. Siamo tutti tanto cattivi e a titolo di favore. E non riesco a capirne fino in fondo il perché. Cattivo chi si compiace della sua supremazia mentale, troppo spesso celata dietro il tic tac di quella tastiera che rende invincibili. Cattivo chi, sempre più, sentenzia, resettando il confronto con il prossimo: che senso ha vincere facile, senza neanche ascoltare? Cattivo chi, come me, poggia lo sguardo sull’altro lato della strada, così da evitare di incrociare quei volti cioccolato, che ci chiedono tutto o forse non ci chiedono niente, e risparmiarsi un amaro boccone in digestione.

Ognuno ha la propria idea – per fortuna nostra – e mai entrerò nel merito – per fortuna vostra -, ma ciò di cui sono tristemente consapevole e che, da ventenne sciocca, mi fa assai paura, è che i capelli verde evidenziatore sbiadito sono sdoganati con fierezza, presentarsi ad un colloquio lavorativo in shorts inguinali e carri armati a zeppa è accettato, ma la vera diversità ci terrorizza ancora. La diversità di cui dovrebbe importarci. E smuove quella celeberrima, mortificante cattiveria repressa che alberga in ciascuno di noi, nessuno esente, tirando fuori il meglio del peggio delle convinzioni di chi mi circonda.

Per quanto ancora sarà così nella mia cara Biella? A me – sinceramente – infastidiscono maggiormente due gambe nude esibite dinnanzi ad un futuro posto di lavoro, anziché un pugno di diversità accampato su una panchina scassata. Vi chiedo nuovamente, da quasi venticinquenne senza arte, né parte: per quanto ancora sarà così nella mia cara Biella?

Silvia Serralunga

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