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Politica

Imprenditori che giocano a mosca cieca

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Quella passata è stata una settimana densa di eventi che, in qualche modo, tendevano a raccontare il territorio e le iniziative messe in atto per dargli un futuro credibile, soprattutto da un punto di vista economico.

Quella passata è stata una settimana densa di eventi che, in qualche modo, tendevano a raccontare il territorio e le iniziative messe in atto per dargli un futuro credibile, soprattutto da un punto di vista economico. La conferenza stampa all’Unione Industriale Biellese per fare il punto su “Biella in transizione”, manifesto per il cambiamento messo in cantiere dall’associazione degli industriali, e la celebrazione del 150° compleanno del quotidiano La Stampa, sono state le occasioni che hanno riunito personaggi in vista dell’economia e della politica locale.

Che dire, quindi, delle pagine scritte e delle parole già spese in queste celebrazioni e conferenze stampa promosse dalla Biella che conta, nel senso che fa i conti? Che è una Biella che fa i conti sempre e solo con se stessa, con scarsa lucidità e ancor meno onestà intellettuale. Una Biella d’imprenditori di terza o quarta generazione – ormai ne abbiamo perso il conto – che giocano a mosca cieca col futuro, tastando l’aria per dare forma a una qualche idea per uscire dall’impasse: l’impressione è che chi fa parte del problema voglia fornire la soluzione. Il Biellese si rivela, ancora, un territorio legato alle dinastie familiari, eredi di una tanto fantastica quanto vetusta vocazione e intuizione imprenditoriale, che ora annaspano tentando di governare il processo irreversibile di una trasformazione del mondo e del mercato.

Quella delle loro famiglie è stata un’avventura imprenditoriale straordinaria, ma che non ha generato sul territorio lo sviluppo imprenditoriale legato alle nuove sfide globali: o perché chiuse su se stesse, o perché intente a delocalizzare produzione e investimenti, o perché affette da un’arrogante miopia.
Solo questa crisi ha messo in difficoltà il modello, evidenziando la necessità delle idee e della presa di coscienza che, oltre al tessile, c’è tutto un mondo intorno. Che siamo stati bravi, dovremmo anche smettere di dircelo ogni volta per provare a esserlo d’ora in poi. Qualche appiglio a cui aggrapparsi per non annegare è forse dato dalle politiche regionali, costrette, per fortuna, a rapportarsi a un’Europa sicuramente più lucida e determinata.

Il futuro vero, però, crediamo sia quello così poco rappresentato in questa settimana di pubbliche autocelebrazioni: quello definito dal rumore di fondo che si comincia a udire quando queste spengono i riflettori; quello prodotto dai giovani – o diversamente giovani – così poco rappresentati e raccontati in queste occasioni pubbliche, che muovono le idee sottotraccia e vanno a caccia di capitali fuori dal confine mentale che ci siamo imposti imponendoci un isolamento felice, divenuto il maggior problema del presente, che è il futuro di una volta verso il quale non siamo stati capaci di guardare.

Sono quelle menti imprenditoriali che si agitano nel mare digitale delle opportunità che cominciano ad abbozzare un futuro reale e, finalmente, diverso. Più che una Biella in transizione, pare una Biella in transazione ancora ignara del fatto che, salvo eccezioni, il mondo è altrove.

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