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“Caro ministro, rivedete le regole o per noi sarà la fine”

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Alla fine la battaglia contro le regole sul pensionamento delle persone invalide (a chi ha un’invalidità compresa tra il 46 e il 74% non viene più riconosciuto alcun beneficio), partita mesi fa proprio da Biella, è arrivata sul tavolo del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Alla fine la battaglia contro l’innalzamento dell’età pensionabile delle persone invalide (a chi ha un’invalidità compresa tra il 46 e il 74% non viene più riconosciuto alcun beneficio), partita mesi fa proprio da Biella, è arrivata sul tavolo del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Ospite del Pd locale, lunedì sera ha ascoltato una donna con problemi legati ad una disabilità ed un’operatrice sanitaria. A presentargliele è stata la senatrice Nicoletta Favero, che da tempo cerca di dare visibilità alla questione sollevata in modo trasversale dal consigliere comunale Antonio Montoro.

Nella stessa occasione al ministro è stata anche consegnata una lettera scritta proprio da Montoro.

Pubblichiamo di seguito il testo consegnato a Poletti, in cui vengono esposte le criticità e proposte alcune possibili soluzioni.

Rivedete le regole o per noi sarà la fine
 
Ringraziando per il tempo che potrà dedicare a questa mia lettera, cercherò di illustrare le criticità della Legge Fornero e tenterò di proporre alcune soluzioni che a mio modesto parere potrebbero rimediare, almeno in parte, agli effetti negativi prodotti.
Premetto che sto scrivendo, nel caso specifico, riguardo la situazione degli invalidi a cui è stata riconosciuta dall’apposita
commissione medica un’invalidità compresa tra i 46 e i 74 punti percentuali e che, per la Legge Fornero, sono considerati a tutti gli effetti persone normali ai quali non si riconosce alcun beneficio pensionistico. Basti pensare che, allo stato attuale, gli invalidi compresi in questa fascia devono versare circa 44 anni di contributi per andare in pensione indipendentemente dall’età, oppure accedere alla pensione di vecchiaia con un’età di 68-70 anni, esattamente come
per i lavoratori sani.
La cosa al tempo stesso curiosa e tragica è che la categoria degli invalidi viene considerata con un’aspettativa di vita in
crescendo, come per le cosiddette persone normali, aumentandone di pari passo l’età per accedere alla pensione.
Lo Stato dispone per questa categoria il collocamento mirato (magari esistessero posti di lavoro) riconoscendo una difficoltà a queste persone (fisica, motoria, ecc.), salvo poi dimenticarsene nel momento in cui sarebbe opportuno prevedere per loro un beneficio.
In virtù di questo riconoscimento, sarebbe sufficiente prevedere per gli invalidi compresi in questa fascia (46%-74%), lo sconto di un mese per ogni anno lavorato.
Ovviamente questo sconto deve partire dal momento in cui è stata riconosciuto lo stato di invalidità.
Le persone con invalidità dal 75% al 100% hanno da tempo diritto a uno sconto di 2 mesi per ogni anno lavorato.
La mia proposta, pertanto, è di stabilire un tetto massimo di contributi versati per accedere alla pensione, ad esempio 35 / 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica. Stabilire un’età, ad esempio 60 anni, raggiunta la quale sia possibile accedere alla pensione di vecchiaia indipendentemente dai contributi versati. Per capire la sostenibilità della
proposta bisogna considerare i soli invalidi ultracinquantenni, cioè coloro che erano vicini alla pensione prima della riforma. 
Questi sconti / benefici altro non sarebbero che il frutto del riconoscimento dello stato di invalidità di questa categoria di
persone e dovrebbero, a mio parere, comprendere anche gli eventuali periodi di cassa integrazione e di mobilità.
Inoltre sarebbe, a mio parere, opportuno prevedere, come per gli esodati, forme di salvaguardia anche per gli ultracinquantenni invalidi che hanno perso il lavoro in questo periodo di crisi.
 
Le proposte qui sopraesposte sono urgenti perché andrebbero a salvaguardare immediatamente quegli invalidi ultracinquantenni che per una questione di età sono i più logorati fisicamente e, di fatto, con nessuna possibilità di trovare un nuovo lavoro.
 
Per quanto riguarda in generale il mondo dei lavoratori disabili, certamente si potranno valutare altre migliorie, come facilitare il versamento dei contributi volontari per gli invalidi disoccupati. Pensare che una persona senza lavoro possa versare un terzo dell’ultimo stipendio lordo all’INPS riuscendo a vivere dignitosamente è una follia. Sono cifre da brivido.
Oppure studiare un sistema di sgravi per le aziende che dovessero assumere invalidi in modo da renderne più appetibili le assunzioni.
O, ancora, studiare forme di sostentamento per invalidi rimasti senza lavoro. Una persona sana può sempre cercare di sbarcare il lunario con qualche lavoretto ma, per un invalido, è pressoché impossibile.
 
Ho esposto i problemi generati dalla Legge Fornero e alcune possibili migliorie.
Se queste strade potranno essere percorse e se siano o meno sostenibili, lo diranno i vostri consulenti. Non dimentichiamo che vi sono attualmente alcune eccezioni come ad esempio i militari, le forze dell’ordine e, ahinoi, i politici (ahimè sempre tirati in ballo), i quali possono accedere alla pensione prima degli invalidi, perciò non dovrebbe essere così
improponibile colmare almeno questa disuguaglianza.
A una persona malata che ha lavorato 35-40 anni non si può chiedere di più.
Mi auguro che questo mio appello sia trattato con la dovuta sensibilità e con la giusta attenzione volta a migliorare una situazione penalizzante per una categoria di lavoratori così svantaggiata.

Ringrazio e resto a disposizione per ogni chiarimento in merito.

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