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Perché i biellesi guadagnano meno?

Ecco “Pausa Caffè”, la rubrica settimanale di Giorgio Pezzana

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Secondo una recentissima indagine della Cgia di Mestre, i lavoratori del settore privato del Biellese sarebbero quelli che accumulano il maggior numero di giorni lavorativi nel corso dell’anno, ma gli stipendi delle stesse categorie di molte altre province, sarebbero superiori, pur essendo inferiori i giorni di lavoro.

Ho cercato di approfondire questi dati su scala nazionale, partendo dagli stipendi lordi di vari capoluoghi e sottraendo il 32-33% che è quanto lasciamo al fisco. Ne è emerso che un lavoratore del settore privato del Biellese percepisce uno stipendio medio di circa 500 euro in meno rispetto ad un lavoratore del settore privato dell’area milanese. Tradotto in soldoni, circa 1300 euro contro 1800 euro mensili. Ma guadagnerebbe anche meno rispetto alla gran parte delle altre province del Nord Italia. Parliamo ovviamente sempre in termini medi.

Una differenza spesso non trascurabile, che pare però affondi le proprie radici in tempi remoti le cui motivazioni sarebbero da ricercarsi in una diversità di trattamento assolutamente non casuale. Sarebbe stata insomma una scelta attentamente studiata, tanto che forse potrebbe dare una spiegazione plausibile alla monocultura produttiva che ha caratterizzato gli ultimi due secoli di storia del territorio biellese. Ovviamente non vi sono prove tangibili, ma la buona memoria di alcuni anziani ricorda come l’imprenditoria tessile biellese abbia sempre osteggiato l’insediamento di altre attività produttive in questo contesto provinciale. Il motivo? Sostanzialmente solo uno: i lavoratori di altri settori privati potevano contare su trattamenti contrattuali migliori rispetto a quelli del settore tessile e quindi si è sempre cercato di evitare la possibilità di un confronto che potesse generare malcontento tra i lavoratori biellesi, notoriamente in larga parte occupati proprio nelle aziende tessili.

Sarà vero? Che sia vero nessuno lo può confermare, ma che sia verosimile sono in molti a pensarlo, anche in considerazione del fatto che nel Biellese, al di fuori del comparto tessile, non si è mai registrata una reale presenza di insediamenti produttivi di altro tipo, almeno finché il tessile è stato la forza economica trainante del territorio. Una forma di monocultura produttiva le cui conseguenze si fanno ancora sentire. E che in qualche modo spiegherebbe il perché della disparità di emolumenti nel settore privato rilevata dalla Cgia, nonostante i biellesi siano, al confronto con i lavoratori del resto della regione e del Paese, degli stakanovisti.

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2 Commenti

1 Commento

  1. Bruno

    22 Maggio 2025 at 16:05

    se i biellesi andassero a votare per il referendum sul lavoro fanno valere i propri diritti invece di ascoltare le parole a vanvera della destra sarebbe un bel segno verso questo governo che i diritti di chi lavora gli vuole piano piano togliete

  2. MAVAFFERNANDO

    22 Maggio 2025 at 16:07

    Visto che il tessile, quello rimasto, continua a lamentarsi che non riesce a trovare lavoratori, sarà anche questa la motivazione? I giovani sicuramente non studiano per entrare in un azienda tessile, meno ancora in un reparto produttivo. Importiamo stranieri per tenere gli stipendi bassi in tutti i settori, perché si sa, la maggiore richiesta di lavoro, fa in modo che la gente non abbia pretese se l’alternativa è la strada…Quando la forza lavorativa era compatta come succedeva negli anni 70/80 con scioperi mirati, e funzionali, si ottenevano diritti e aumenti. Ora con quelli organizzati, preannunciati, magari di venerdì, 4 orette, che cosa si vorrebbe ottenere? L’industria e il comparto produttivo deve iniziare a valorizzare il proprio personale, non sperare che vada al lavoro per mancanza di alternative. Troppe tasse? Il governo trovi soluzioni efficaci, e agevoli le aziende.

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