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Cronaca

“Senza casa e lavoro vogliamo ucciderci anche noi”

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«Abbiamo deciso di fare come la coppia che si è uccisa nel garage. Chi ci ha condannati a morte sappia che le persone in difficoltà non sono ladri o approfittatori».
Questa è solo una parte del messaggio scioccante inviato nei giorni scorsi alla nostra redazione da Paolo T., trentenne disoccupato che minacciava di farla finita insieme alla propria compagna, Simona V., anche lei rimasta senza lavoro.
Li abbiamo  immediatamente contattati per tentare di capire quale profondo disagio potesse celarsi dietro a una tanto disperata quanto provocatoria minaccia.
Simona V., 53 anni, ha così deciso di raccontarci la loro storia.
«Abbiamo scritto quel messaggio – spiega – sull’onda di un momento di disperazione. Non vogliamo davvero farla finita, però a volte purtroppo capita di pensarci, soprattutto quando ti sembra di urlare e che nessuno ti senta. Stiamo vivendo un periodo bruttissimo e abbiamo bussato a tante porte, ma quasi tutte alla fine si sono rivelate chiuse. Si sa che c’è la crisi, che le persone perdono il lavoro e la casa… e a parole tutti sono comprensivi,  ma quando vai a chiedere concretamente aiuto,  vieni trattato come una nullità».
Biellese lei, calabrese lui, fino a poco tempo fa vivevano nel Sud Italia: «Lavoravamo e avevamo una casa – continua -, non stavamo male. Poi ho iniziato ad avere seri problemi di salute e siamo tornati a Biella per tentare di capire di cosa soffrissi. Ci sono voluti mesi e in quel lasso di tempo abbiamo perso impiego e abitazione».
Ospiti per un primo periodo da una parente in Valle Elvo, hanno trovato l’aiuto della parrocchia e di un’amministrazione comunale, ma con l’arrivo dell’inverno hanno dovuto lasciare la casa, una sistemazione provvisoria che non era adatta per la stagione fredda. Entrambi sono stati quindi costretti a rivolgersi alle istituzioni e hanno trovato posto nei dormitori pubblici cittadini.
«Adesso che è finito il progetto Emergenza Freddo – continua la donna -, Paolo non ha più un tetto sopra alla testa. L’altra notte l’ha passata al “Drop-in”, ma la situazione ormai è insostenibile. Non chiediamo tanto, solo un lavoro per ricominciare».
Non soldi, dunque, ma un impiego: «In questi giorni sono stata contattata dai servizi sociali – racconta ancora la donna -, verrò inserita in un progetto e mi troveranno un alloggio, poi forse anche un lavoro. Ma i tempi sono lunghi. E nel frattempo Paolo, che non avendo ancora ottenuto la residenza è in una situazione più complicata, cosa farà? Di giorno non abbiamo un posto in cui stare e viviamo senza denaro. Siamo costretti a lavarci nei bagni dei locali pubblici. Per quanto tempo possiamo andare avanti così?».
Per questo motivo Simona spera di trovare un’opportunità più rapidamente: «Me lo auguro perché vorremmo riuscire a mantenere almeno l’ultima cosa che ci è rimasta – conclude la donna -, la dignità. E’ l’ultima cosa a cui ci si aggrappa per non sprofondare definitivamente. Cerchiamo in tutti i modi di sentire di far parte ancora di un gruppo, di una società, di una comunità. Di non essere stati esclusi. Altrimenti sarebbe davvero finita. La mia famiglia ha sempre lavorato onestamente e non chiedo altro, se non un’occasione, un’opportunità che ci consenta di rialzarci e di ricominciare a camminare sulle nostre gambe. Qualcuno ci faccia uscire da questo labirinto da incubo».
Chiunque sia interessato a contattare Paolo e Simona per dar loro una mano può rivolgersi alla nostra redazione telefonando allo 015-32.383.

«Abbiamo deciso di fare come la coppia che si è uccisa nel garage. Chi ci ha condannati a morte sappia che le persone in difficoltà non sono ladri o approfittatori».
Questa è solo una parte del messaggio scioccante inviato nei giorni scorsi alla nostra redazione da Paolo T., trentenne disoccupato che minacciava di farla finita insieme alla propria compagna, Simona V., anche lei rimasta senza lavoro.
Li abbiamo  immediatamente contattati per tentare di capire quale profondo disagio potesse celarsi dietro a una tanto disperata quanto provocatoria minaccia.
Simona V., 53 anni, ha così deciso di raccontarci la loro storia.
«Abbiamo scritto quel messaggio – spiega – sull’onda di un momento di disperazione. Non vogliamo davvero farla finita, però a volte purtroppo capita di pensarci, soprattutto quando ti sembra di urlare e che nessuno ti senta. Stiamo vivendo un periodo bruttissimo e abbiamo bussato a tante porte, ma quasi tutte alla fine si sono rivelate chiuse. Si sa che c’è la crisi, che le persone perdono il lavoro e la casa… e a parole tutti sono comprensivi,  ma quando vai a chiedere concretamente aiuto,  vieni trattato come una nullità».
Biellese lei, calabrese lui, fino a poco tempo fa vivevano nel Sud Italia: «Lavoravamo e avevamo una casa – continua -, non stavamo male. Poi ho iniziato ad avere seri problemi di salute e siamo tornati a Biella per tentare di capire di cosa soffrissi. Ci sono voluti mesi e in quel lasso di tempo abbiamo perso impiego e abitazione».
Ospiti per un primo periodo da una parente in Valle Elvo, hanno trovato l’aiuto della parrocchia e di un’amministrazione comunale, ma con l’arrivo dell’inverno hanno dovuto lasciare la casa, una sistemazione provvisoria che non era adatta per la stagione fredda. Entrambi sono stati quindi costretti a rivolgersi alle istituzioni e hanno trovato posto nei dormitori pubblici cittadini.
«Adesso che è finito il progetto Emergenza Freddo – continua la donna -, Paolo non ha più un tetto sopra alla testa. L’altra notte l’ha passata al “Drop-in”, ma la situazione ormai è insostenibile. Non chiediamo tanto, solo un lavoro per ricominciare».
Non soldi, dunque, ma un impiego: «In questi giorni sono stata contattata dai servizi sociali – racconta ancora la donna -, verrò inserita in un progetto e mi troveranno un alloggio, poi forse anche un lavoro. Ma i tempi sono lunghi. E nel frattempo Paolo, che non avendo ancora ottenuto la residenza è in una situazione più complicata, cosa farà? Di giorno non abbiamo un posto in cui stare e viviamo senza denaro. Siamo costretti a lavarci nei bagni dei locali pubblici. Per quanto tempo possiamo andare avanti così?».
Per questo motivo Simona spera di trovare un’opportunità più rapidamente: «Me lo auguro perché vorremmo riuscire a mantenere almeno l’ultima cosa che ci è rimasta – conclude la donna -, la dignità. E’ l’ultima cosa a cui ci si aggrappa per non sprofondare definitivamente. Cerchiamo in tutti i modi di sentire di far parte ancora di un gruppo, di una società, di una comunità. Di non essere stati esclusi. Altrimenti sarebbe davvero finita. La mia famiglia ha sempre lavorato onestamente e non chiedo altro, se non un’occasione, un’opportunità che ci consenta di rialzarci e di ricominciare a camminare sulle nostre gambe. Qualcuno ci faccia uscire da questo labirinto da incubo».
Chiunque sia interessato a contattare Paolo e Simona per dar loro una mano può rivolgersi alla nostra redazione telefonando allo 015-32.383.

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