Attualità
Torna la “Guida alla camporella” nel Biellese
Un libretto aggiornato rispetto alla prima edizione uscita ormai trent’anni fa
Torna la “Guida alla camporella” nel Biellese
Torna la “Guida alla camporella” nel Biellese
Trent’anni fa un insolito libretto, coraggiosamente pubblicato dall’editore Leone&Griffa, destò la curiosità dell’opinione pubblica locale intrufolandosi nelle austere case biellesi e nei più esclusivi salotti culturali cittadini.
Il libro in questione, Sentieri Selvaggi – guida alla Camporella nel Biellese, di Carlo Appino e Maurizio Pellegrini, proponeva, in accattivante veste grafica, 112 paginette su un argomento che, pur vecchio quanto l’uomo (e la donna) e fonte di ispirazione per artisti di ogni tempo, non aveva mai avuto l’onore di assurgere a rango letterario.
Il libretto di allora
In venti dettagliate schede, altrettante mete, più o meno note come luoghi sacri del turismo di massa domenicale, venivano proposte al lettore come “Itinerari per coppiette in erba”, in uno spensierato viaggio attraverso storia e tradizioni, luoghi e costumi del piccolo ma variegato microcosmo biellese. Si rivelavano i luoghi storici della camporella (i feudi di Zumaglia e Magnano, memori di “coribantiche ammucchiate agresti”, i sassi della Bessa, sotto cui giacciono i figli dei fiori Vittimuli, il sentiero della Rovella, dove i lanaioli “ordivano trame d’amore”) e quelli leggendari (la tana di Fra Dolcino e Margherita, nascondiglio “eretico ed erotico”, il bosco dove l’uomo selvaggio rapì la bella contadina). Si ripercorrevano sentieri cari a illustri personaggi del passato: Carducci, Giacosa, De Amicis, Piacenza. Si scoprivano “altarini” che nessun trattato di cultura locale aveva mai osato svelare: che il Monte Casto è tale solo nel nome, che l’imboscamento è la vera “passione di Sordevolo”, che la Burcina ha dato origine al boom demografico, e che per gli antimilitaristi della Baraggia “l’atto sessuale a cielo aperto, concesso all’avvistamento dell’artiglieria militare, ha il preciso significato di un’obiezione di coscienza”.
La nuova edizione
Il libro riappare ora in nuova e variopinta edizione, riveduta e corretta, con disegni di Carlo Appino e Marcella Seresini, fotografie di Fabrizio Bergamaschi, arricchita dalla prestigiosa prefazione di Alessandro Manzoni. Troverete inoltre due nuovi itinerari: il torrente Sessera, che serpeggia tra memorie industriali e partigiane, e la frazione Brianco di Salussola, simbolo del degrado delle Ferrovie Italiane.
Un libro per tutti: bancari abitudinari e imberbi giovinetti, frustrate massaie e seminaristi pentiti, manager in crisi e rampanti segretarie. Un libro che può rappresentare, a seconda degli interessi, una guida ad uso del turista, un manuale per la scoperta di luoghi galeotti dove condurre partner indecisi, un’istruttiva lettura delle vacanze per studenti, un regalo utile e originale (specie a San Valentino).
Argomento “terra terra”
Non alzino il severo ciglio i fautori della morale. L’argomento, definito dagli stessi autori “un po’ terra-terra” è trattato con delicata ironia. Le descrizioni antepongono gli aspetti geografici a quelli… anatomici, lo stile è allusivo e mai volgare. Più Liala che Aldo Busi, più De Amicis che De Sade.
Il neofita troverà gli elementi teorici necessari a una buona iniziazione: come riconoscere l’erba ciularina (unica alternativa al Cynar contro il logorio della vita moderna), quali sono i differenti tipi di imboscamento, quali le possibili varianti (in mountain-bike, in barca o sugli sci, ma non in macchina, pratica altresì nota come auto-erotismo).
Il praticante è messo in guardia da eventuali pericoli: i voyeur delle Rive Rosse, attrezzati per l’avvistamento uccelli, i residui organici della “pezzata rossa di Oropa”, i deltaplanisti dell’alpe Noveis (“guardoni volanti”), i “pulciosi cani da guardia” della Serra, la tentazione dei morbidi covoni, che espone il deretano alla dura “legge del forcone”.
La camporella come filosofia di vita
A questi suggerimenti, di natura pedagogica, si affianca il tentativo di proporre la camporella come filosofia di vita, come antidoto contro “i logoranti feticci dell’inciviltà dei consumi”, come occasione di fuga dai “miasmi della città, che cementifica gli animi, oltre che i prati”. E qui gli autori deridono i fighetti delle ultime generazioni, invitando i lampados a più salutari abbronzature sulle pendici della Muanda e le sfitinzie a placare la sete ai ruscelli, anche in assenza di stereo e moquette. Un saggio Decalogo del camporellista li aiuterà a “Non dimenticare… la gomma di corta”, a “Onorare il prato e la macchia”, senza abbandonare rifiuti plastici e senza lasciar traccia delle proprie imprese sui tronchi degli alberi (“il più bel ricordo resta inciso nei cuori”).
A tre decenni dalla prima uscita gli autori non possono fare a meno di constatare che il territorio non è lo stesso di allora. Se il paesaggio naturale si è mantenuto più o meno invariato, quello umano e sociale è cambiato. Diminuiscono gli abitanti, la popolazione invecchia, i giovani, sempre più attratti da mondi virtuali, apprezzano sempre meno il contatto con la natura, ma il verde, nonostante un certo inaridimento dovuto ai mutamenti climatici, è ancora lì ad accogliere le “coppiette in erba”.
Trent'anni fa nessuno avrebbe pensato alla camporella come veicolo di promozione turistica. Non si parlava ancora di marketing del territorio e si pensava alla lana come unico valore da far conoscere al resto del mondo. Oggi la situazione é diversa. La crisi ha portato a valorizzare aspetti della cultura locale prima trascurati. E una popolazione storicamente votata al lavoro e al guadagno scopre ora il piacere di una dimensione del vivere più attenta al tempo libero e al paesaggio. Ed è
questa, forse, la vera vocazione dell’arte della camporella: scoprire panorami.
(Foto Fabrizio Bergamaschi)
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