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Rebecca Cerri, la ricercatrice che collabora con il Cern di Ginevra

Intervista alla 26enne che ha conseguito la laurea in Fisica nucleare e ora procede con il dottorato e collabora con il gruppo “Alice” di Torino, collegato al laboratorio svizzero

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Rebecca Cerri

COSSATORebecca Cerri, 26 anni, dopo aver frequentato il Liceo del Cossatese e Vallestrona, indirizzo Scienze applicate a Vallemosso (Valdilana), si è iscritta all’Università, al corso triennale in Fisica a Torino.

Laureata ad aprile 2020, discutendo la tesi via internet dal tavolo della cucina di casa nel periodo covid, a settembre ha iniziato il percorso magistrale in Fisica nucleare e Sub nucleare che si è concluso lo scorso ottobre.

Rebecca Cerri, dal Liceo del Cossatese alla Fisica nucleare

«Nell’ambito della fisica si parte dalle basi, con i corsi di matematica, fisica, meccanica, elettromagnetismo e meccanica quantistica – spiega -. Ci sono poi diverse ramificazioni, come ad esempio l’astrofisica, o la fisica teorica. Io ho scelto di fare fisica nucleare e sub nucleare, perché lì vertevano i miei interessi, nello specifico per la fisica particellare. Adesso ho iniziato il dottorato in Fisica, ancora a Torino, ossia analizzo i dati che arrivano dal Cern di Ginevra, in cui è in corso un grande esperimento. Io sono nel gruppo “Alice” di Torino. In sostanza nell’arco degli anni si collezionano dati e li si analizza, anzi, cerco di analizzarli e intanto proseguo nella mia formazione. Partecipo alle conferenze e posso presentare i risultati all’interno del mio gruppo di ricerca. Nei tre anni di dottorato, ossia di borsa di studio pagata dall’Università, si è lavoratori e studenti. Per ora non ho prodotto ancora nulla, fra otto mesi magari ci riuscirò. I gruppi di ricerca sono tantissimi. Al Cern sono in corso quattro principali esperimenti rilevatori. Alla fine del mio dottorato stenderò la relativa tesi».

Al termine si diventa ricercatori?

«Ci sono di nuovo tanti percorsi. Se vuoi rimanere nella ricerca accademica, quindi anche nell’ambito del Cern, si può fare un post-dottorato di un anno o due, in cui si continua a fare ricerca, ma a un livello più elevato. Bisogna poi cercare di vincere dei bandi per portare avanti la ricerca in università, oppure da esterno. Ad esempio, all’Università di Torino c’è INFN, l’Associazione nazionale di fisica nucleare che periodicamente propone borse per diventare ricercatore a tempo indeterminato. Oppure al Cern ci sono posizioni aperte della durata di due anni sempre in ambito accademico. Altrimenti, dopo il dottorato, si può fare ricerca in aziende, o insegnare nei licei. Per insegnare all’università la strada è più complessa, perché occorre fare prima carriera, vincere borse».

A questo punto però, forse non a tutti è chiaro – neanche a noi, a dire il vero -, cosa ricerca?

«L’esperimento di Ginevra consiste nel far accelerare molto velocemente delle particelle, che viaggiano in direzioni opposte, facendole scontrare. Dall’impatto, si creano tantissime altre particelle. I rilevatori attorno, i detector, nei punti dello scontro rivelano dei dati. Noi prendiamo quei dati e li studiamo, andando a ritroso, ricostruendo il loro percorso fino al momento in cui le particelle si sono scontrate. Lì si scoprono diversi aspetti del nucleo. Il gruppo Alice, di cui faccio parte, studia uno di questi punti di scontro. Cerchiamo in sostanza di capire meglio la fisica. I ricercatori sono tanti, in tutto il mondo. È una collaborazione enorme, con competenze diverse. Io sono soltanto una parte piccolissima, ma sono contenta di esserci».

Una realtà complessa. Come le è venuta l’idea di appassionarsi?

«Ho sempre cercato di capire il mondo che ci circonda, come funzionano le cose. Mi sono appassionata anche grazie a mia sorella, che amava osservare le stelle con un telescopio, anche se è un altro ramo della fisica. C’è stata poi la mia professoressa, Chiara Bandini, che era molto brava, e la professoressa Enrica Fava Maggiore, che aveva contribuito. La ricercatrice Nadia Pastrone mi ha definitivamente aperto gli occhi sulla fisica particellare».

Qual è il suo obiettivo?

«Intendo rimanere nel settore della ricerca, non dell’insegnamento».

Possibilmente in Italia?

«Non so. La mia famiglia è in Italia e vorrei rimanerci, poi chissà. Se sarà necessario, mi sposterò. Per ora sono contenta di dove sono arrivata. Essere studente lavoratore è già la realizzazione del mio sogno, quello per cui ho lavorato tanto in questi anni».

Rebecca, sente di suggerire il percorso ad altri giovani?

«Assolutamente sì. Non è semplice, ma dà tante soddisfazioni. Bisogna essere appassionati, volerlo proprio fare. Non lo consiglierei a qualcuno che ha dei dubbi. Bisogna tenere conto che tanti corsi, conferenze e la relativa documentazione sono in lingua inglese, quindi occorre conoscerla, anche per poter parlare con i colleghi, ma pian piano s’impara».

Anna Arietti

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