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Più panchine per tutti

Gli Sbiellati: una rubrica per tentare di guardarci allo specchio, e non piacerci

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – Passata la buriana e la conseguente indigestione, tra le notizie ufficiali, di pareri non richiesti in merito alla (ri)elezione del Presidente della Repubblica, questa settimana e la prossima, almeno, sono e saranno foriere di sciallo e disimpegno a colpi di canzonette: il Festival di Sanremo monopolizza gli hashtag di ogni post, un modo anche questo per polemizzare sul nulla. Cogliamo l’occasione per perderci pure qui lungo i labirinti della discussione da flâneur, addentrandoci in un’ideale conversazione senza uscite di sicurezza.

C’era una volta, nella Treviso protoleghista, un sindaco che dopo aver visto dei “negri” – lui diceva così, non prendetevela con me – seduti sulle panchine della città, le fece sparire segandole dalla base alla quale erano ancorate.

Era il 1997 e, anche se un riflusso recente di sindaci partoriti dal Nord-Est più leghista che c’è continua a ritenere decoro cittadino la polvere sotto al tappeto, da allora le panchine hanno vissuto e continuano a vivere, almeno dalle nostre parti, momenti di gloria: dopo l’umiliazione trevigiana, il riscatto piemontese.

Dal 2009 siamo stati travolti da panchine giganti, panchine rosse, panchine arcobaleno. E panchine rotte, che quelle non mancano mai in ogni comune italiano che si rispetti, figuriamoci da noi, essendo la panchina uno dei simboli più potenti dell’anti-fordismo, così nemico del saper fare, così amico della riflessione e delle attese senza pretese. La panchina è l’elemento dell’arredo urbano più sinceramente democratico: una sorta di welfare di prima necessità (pensate a senza tetto, anziani con e senza badante, innamorati di Peynet, studenti che marinano la scuola, lettori da esterno) come lo erano un tempo i vespasiani, anche se questi erano pure un po’ sessisti.

Tra l’umiliazione e il riscatto, si colloca temporalmente la pubblicazione di “Panchine – Come uscire dal mondo senza uscirne”, l’ode letteraria alla panchina dello scrittore Beppe Sebaste, edito da Laterza nei suoi “Contromano”. Una poetica riflessione sulla funzione sociale e paradossalmente intima di queste sedute pubbliche nell’economia del vivere quotidiano. Nel frattempo, la panchina si è fatta di lotta e di governo.

Un talentuoso disegnatore d’auto americano, dimorato nella provincia Granda, lancia la panchina gigante in Langa come complemento d’arredo turistico. Le panche rosse diventano invece barricadere latrici di messaggi antiviolenza di genere; quelle arcobaleno per quella che riguarda la tolleranza Lgbt e associati. Quelle rosse, in città, hanno generato anche un tavolo dello stesso colore, che quello non si nega a nessuno, almeno fuori dalla retorica dell’arredo d’esterno. E mappe e libri per darne le coordinate a chi voglia recarvisi in pellegrinaggio.

Tutto ciò sotto il segno dell’arte, che tanto “artistico” è un aggettivo che va su tutto, a differenza dei colori: Christo e la sua passerella sul lago d’Iseo han generato mostri. Addirittura ci fu chi lanciò l’”idea” di proporgli una passerella sul lago di Viverone: ci abbiamo messo più di dieci anni per copiare una panchina gigante, figuriamoci quella passerella. Più che le panchine, sarebbe il caso d’ingrandire il lago e la sua offerta turistica.

C’è pure chi vaticina un futuro di turisti attirati qui grazie a quella e a prossime e venture panchine da Gulliver. Me le vedo, i tour operator stranieri, programmare soggiorni in zona per amanti delle panchine giganti: niente da fare, restiamo lillipuziani della promozione turistica. Certo, visto che viviamo l’era instagrammatica non c’è dubbio che l’afflusso di turismo locale pronto a scattare una foto alla famiglia o alla morosa lì seduta sarà notevole, ma da quello ad arrivare a incidere sull’economia turistica ce ne passa. Non passano gli scarti del pic-nic, che restano lì a terra.

Intanto deturpiamo, seppur in buona fede, il panorama. Che non è mai il soggetto di quelle foto, badate bene: il panorama è una conseguenza. Del resto c’era chi si faceva ritrarre con la Costa Concordia sullo sfondo, figuriamoci una panchina da luna park. Credo insomma che quelle panchine, al di là dell’iniziale scopo e funzione d’installazione artistica dell’ideatore, siano destinate a deturparlo, il panorama. Il concept di Chris Bangle era quello di fornire un altro punto di vista, fisico ed emozionale, poi la sua creatura ha preso il volo verso altri significati e utilizzi scappandogli di mano.

Il mio ideale di panchina lo trovai anni fa in un piccolo pueblo spagnolo affacciato sul mare: oltre a quelle su cui sedersi per perdere lo sguardo nell’orizzonte azzurro, ce n’erano alcune rivolte le une verso le altre e che per questo obbligavano a guardare negli occhi chi ci stava seduto di fronte. La panchina può essere rivoluzionaria.

 

Lele Ghisio

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