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Matteo Bussola: «Rivendico per i nostri ragazzi il diritto alla menzogna»

Ospite del festival letterario #fuoriluogo l’autore di “LA NEVE IN FONDO AL MARE”

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Li vorremmo medici, ingegneri, architetti. Campioni nello sport. Fenomeni sul campo da calcio o da tennis. Piccoli geni super performanti. Da bravi “genitori spazzaneve”, come certa psicologia ama definirci, sgombriamo il terreno dei nostri figli da ogni piccola possibilità di inciampo. E li rendiamo fragili. A volte troppo fragili. Di questa generazione di genitori iper-controllanti e di figli iper- controllati ci ha parlato Matteo Bussola, autore del romanzo “La neve in fondo al mare”, ospite del festival letterario #fuoriluogo sabato alle 11 nei locali della biblioteca civica di Biella. In dialogo con Beppe Anderi.

“La neve in fondo al mare” parla di un padre, Caetano, e un figlio, Tommy, entrambi ricoverati in un reparto di psichiatria infantile. Come le è venuta l’idea della storia che racconta?

Sentivo che avrei divuto scrivere questo romanzo, anche se scriverlo mi avrebbe fatto male. Dentro di me l’ho boicottato per un po’ prima di iniziarne la stesura. Il territorio del romanzo apre finestre su mondi che spesso rimangono sommersi e conosciamo poco. Volevo approfittare della finzione narrativa per abbattere due stereotipi. Il primo stereotipo riguarda l’anoressia, malattia che nell’immaginario collettivo è declinata per lo più al femminile. Il secondo stereotipo è quello che vede le madri come uniche ed esclusive addette alla cura dei figli.

Nel romanzo Tommy è un sedicenne che soffre di anoressia nervosa, un disturbo alimentare sempre più diffuso negli adolescenti anche maschi . E Caetano, il padre, nella costrizione del ricovero, si trova costretto a prestare quelle cure che solitamente sono appannaggio delle madri. A confrontarsi col corpo filiforme del figlio da cui sfugge, e a fare i conti col dolore che alberga in Tommy.

Caetano e Tommy sono “due foglie in bilico sullo stesso ramo”. Il padre ossessionato dall’individuare l’istante in cui è iniziato tutto, l’attimo in cui Tommy ha cominciato a infliggersi la punizione di perdere peso. Tommy chiuso in un dolore di cui non sa liberarsi. Come mai, pur stando vicini, faticano a comunicare?

Il disturbo comunicativo tra adulti e adolescenti è un processo fisiologico. La differenza sta già nei sostantivi che usiamo. “Adulto”è un participio passato. L’adulto è chi è già diventato grande mediante l’esperienza, colui che sa che i problemi importanti arriveranno dopo. Che i turbamenti adolescenziali avranno vita breve. “Adolescente” è un participio presente. Adolescente è colui che vive solo nel presente. Non gli interessa essere confortato con frasi del tipo”Tranquillo, passerà. Troverai nuovi amici, nuovi amori, prenderai voti migliori ecc…”. L’adolescente implora: “Fai smettere a quel buco che sento dentro di farmi male. Fallo smettere adesso!”.

Perché un titolo così enigmatco come “La neve in fondo al mare”?

Trovare la neve in fondo al mare è una situazione paradossale. Impossibile alla neve depositarsi sul fondale marino. Scoprire la profondità della tristezza, del dolore che alberga in un figlio adolescente è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci. Come la neve in fondo al mare, appunto.

L’anoressia di Tommy sembra quasi un moto di ribellione nei confronti del mondo adulto. “Vi comportate tutti allo stesso modo – urla Tommy al padre- .Ci fate credere di essere invincibili e poi ci lasciate soli a scoprire che non è vero”. L’anoressia di Tommy è il tentativo si spogliarsi di tutto. Delle aspettative, dei progetti, degli obiettivi, della vita, perfino. Esiste un modo sano di aiutare i nostri ragazzi a diventare grandi?

Molti psicologi, psichiatri, educatori usano la parola “accettare”. Personalmente non amo il verbo “accettare”. Mi sembra legata al concetto “lo accetto perché non posso farci niente”. Una resa passiva. Amo invece il verbo “accogliere” che ha un’accezione positiva. “Non ti voglio bene nonostante sia tu. Ti voglio bene perché sei tu”. Dobbiamo imparare a vedere e accogliere i nostri figli per ciò che sono, non per quello che spereremmo potranno diventare.

E per vederli occorre ascoltarli Sono ragazzi pieni di sogni, ma anche di ferite. Dobbiamo insegnare loro e a noi stessi che la sofferenza può essere qualcosa di costruttivo. i nostri figli possono diventare un’importante opportunità di crescita anche per noi.

Nel concreto, quindi, cosa dovremmo fare?

Dobbiamo lasciarli inciampare, cadere, sbagliare. Dobbiamo smettere di rimuovere gli ostacoli dal cammino dei nostri figli, di iper- controllarli. Se non permettiamo loro di trovare il loro modo di superare le difficoltà, è normale che davanti a ogni più piccola sfida si attivino poi problematiche di ansia e di panico che non sanno gestire. Quando un ragazzo della nostra generazione non si sentiva preparato per una verifica o un’interrogazione, marinava la scuola e cercava un modo per recuperare nei giorni successivi. Trovava a suo modo una soluzione al problema. Questo è impossibile a un ragazzo di oggi. Mezz’ora dopo arriva la notifica al genitore che lo avvisa dell’assenza. Io rivendico la libertà di un adolescente a mentire per costruire piccoli spazi di libertà in cui crescere.

Mary Caiffa

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