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Le”marchette” del sindaco Cavicchioli

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La Paga del sabato di Giuliano Ramella

“Marchette” ha definito Sergio Rizzo, editorialista del Corriere della Sera e “inventore” nel 2007 con Gian Antonio Stella del  ciclo editoriale de “La Casta”, diverse misure presenti nel Documento di Economia e Finanza presentato nei giorni scorsi dal governo Renzi.   La definizione è antica come la politica che, nelle sue varianti più commendevoli, è figlia del meretricio.  Il suo rilancio mi offre tuttavia la soluzione per una possibile definizione delle più sconcertanti iniziative dell’amministrazione comunale di Biella e del suo sindaco, l’enigmatico Marco Cavicchioli.   A partire dall’ultima, l’ennesimo ipermercato in via Ivrea, e via via risalendo fino alla madre di tutte le  recenti marchette biellesi: il rifacimento della piazza Duomo (figlia della precedente amministrazione, bleah !) sulla cui rinuncia Cavicchioli & C. avevano imperniato la campagna elettorale vittoriosa.

Sul nuovo supermercato ho espresso riserve di metodo, cercando di sottolineare il suo essere la spia di una metamorfosi che ha trasformato gli uomini e le donne da produttori in consumatori divenendo essi stessi merce da scambiare.  Diversi mi hanno scritto, direttamente dal Palazzo e dintorni, ma uno solo ha colto il senso politico e culturale della mia riflessione.  Agli altri ho confermato il mio essere bastiancontrario rispetto ai meravigliosi doni della modernità.  Che nel caso nel nuovo supermercato significano denaro per le casse comunali, posti di lavoro, parcheggi, piste ciclabili, aumento dell’offerta e dei vantaggi per i consumatori.  Io non sono nemico del supermercato: ne sono cliente/vittima come molti altri.  Concettualmente però lo detesto per quello che rappresenta nella modifica delle abitudini di vita, sociali, culturali, di consumo con la creazione di bisogni indotti e deprivazione delle storie individuali, nella devastazione del tessuto economico, storico e sociale del territorio.  

Credo di essere stato fra i pochi (scrivere l’unico sarebbe presuntuoso) ad opporsi, per la catastrofe che avrebbe prodotto, alla nascita degli Orsi;  credo di essere fra i pochi a rabbrividire ogni volta che leggo lo slogan orsino “la tua vita è qui” e penso ai miei vecchi che non hanno avuto questa “fortuna”, che andavano a far la spesa nel negozio sotto casa con il libretto su cui, quotidianamente, registravano importi che venivano saldati al momento della riscossione della “quindicina” del lavoro di fabbrica.  

Ma non è la nostalgia, comunque individuale e soggettiva, ad intristirmi, ma il bolso ottimismo di chi si fa classe dirigente senza sapere che cosa e come dirigere, e fa del carpe diem dell’arraffo una filosofia mercatora.  Che si è fatta irriconoscibile poltiglia in cui non si distingue, perché non c’è, la differenza fra la destra e la sinistra, fra progressisti e conservatori, fra riformisti e riformati, fra chi c’è e chi ci fa.  Noi, nel mezzo, ingoiamo bocconi amari: lasciateci almeno sfogare un po’, e non fateci bacchettare pubblicamente da zelanti figlie di un’arte che non c’è più, com’è successo ad Omar Ronda per il suo esplicito, crudo e soprattutto “irrispettoso” linguaggio usato nel giudicare il sindaco Cavicchioli.  Il rispetto bisogna guadagnarselo: Cavicchioli rifletta se lo sta facendo, e ci dica qualcosa direttamente.  Al suo buon cuore.  

Giuliano Ramella
giulianoramella@tiscali.it

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