Attualità
“Grazie a quegli angeli con il camice”
Il giornalista Riccardo Alberto racconta la disabilità e la rinascita

Per i più giovani il nome Talidomite (o Contergan), non dice nulla. Eppure si tratta di un medicinale protagonista di quello che è forse il più grave scandalo farmaceutico del secolo scorso.
Un farmaco da banco con proprietà sedative, ipnotiche e tranquillanti, che negli anni ‘50 e ’60 ha causato gravi malformazioni nei feti delle donne che lo hanno assunto durante la gravidanza, portando alla nascita di migliaia e migliaia di bambini con gravi malformazioni congenite; principalmente amelìa (assenza degli arti), vari gradi di focomelìa cioè la riduzione delle ossa lunghe degli arti e danni agli organi interni.
Quando la Talidomide viene ritirata dal mercato ormai migliaia di bambini, almeno 20.000, di cui più di 400 in Italia, sono nati con quella che sarebbe stata chiamata in seguito sindrome da talidomide, senza contare i casi di aborto spontaneo e di morte fetale.
Prima la negazione poi le scuse. Nel 2012 Harald Stock, direttore esecutivo del Grünenthal Group, compagnia farmaceutica che commercializzò il farmaco, ha chiesto scusa pubblicamente ai pazienti e alle famiglie. L’annuncio è avvenuto proprio nel corso di una cerimonia di commemorazione per i bambini che hanno subito gli effetti collaterali della talidomide. Stock si è rivolto alle vittime e alle loro famiglie, precisando anche di essere consapevole che le scuse arrivano con troppo ritardo. «Ci scusiamo per il fatto che non abbiamo trovato modo di venire a scusarci con voi, uno per uno, per quasi cinquanta anni. Siamo stati in silenzio, e ci scusiamo per questo. In parte questo silenzio è dovuto allo shock che tutta la questione ha causato anche in noi», ha commentato, aggiungendo poi che prima di mettere in commercio la sostanza erano stati fatti tutti i test possibili, date le conoscenze scientifiche degli anni Cinquanta. Scuse tardive dal sapore di beffa.
Uno dei colpiti dalla Talidomide è un volto conosciuto del giornalismo biellese: Riccardo Alberto. Non ne ha mai parlato pubblicamente. Scopriamo perché lo ha fatto oggi.
Beh, io posso ritenermi fortunato perché il danno si è limitato alla gamba destra, più corta di oltre 20 centimetri.
Non così poco…
Vero. E il mio è stato un lungo percorso, soprattutto di accettazione della disabilità. E come per ogni menomazione il percorso è soggettivo. Inizia all’interno del nucleo familiare (fondamentale) durante i primi anni d’infanzia ed è influenzato pesantemente dall’autostima e dalla fiducia della persona nei propri confronti e nei confronti di chi le sta accanto, ma anche e soprattutto dalle modalità con cui parenti e amici si relazionano con i suoi limiti.
Dev’essere stato comunque molto difficile.
Grazie a questo percorso, a volte tortuoso, la mia menomazione non è mai diventata un alibi per ottenere sconti nella mia vita privata o professionale, anzi. C’era, quella gamba più corta e con lei ho convissuto ogni giorno.
Nonostante quei venti centimetri.
Questo anche grazie ad una splendida protesi realizzata proprio a Biella dall’Officina ortopedica di Aurelio Lorenzon, la sua tesi di laurea aveva proprio come protagonista la mia protesi.
Praticamente una vita normale.
Fino a un anno fa quando una progressiva necrosi alla testa del femore ha praticamente bloccato proprio quella gamba destra. E ne aveva ben ragione. Del resto la parte del leone l’aveva fatta. Ma ora?
Ora?
Si ripresentavano i dubbi già vissuti come persona disabile spesso caratterizzati da un fortissimo senso di frustrazione che cambia a seconda del deficit con cui si convive. Ed è nel momento dello scoramento che il buon Dio, per me che sono credente, decide di inviare sulla tua strada gli angeli. Alcuni li hai già in casa, accanto a te. Altri irrompono improvvisamente nella tua quotidianità.
In che veste?
Ad esempio il dottor Gianclaudio Grandi, medico ortopedico, che senza mezze parole mi ha fatto capire che era fondamentale e irrinunciabile l’intervento di protesi totale all’anca per evitare la sedia a rotelle. Dal suo sguardo ho comunque capito che la situazione della gamba con femore a forma di sciabola e la muscolatura cresciuta “anarchicamente”, poteva essere un’ulteriore complicazione.
Senza giri di parole…
Per definizione il malato si trova in una situazione di necessità nei confronti del medico: questi viene investito della facoltà di poter indagare nell’intimo somatico, di frugare nella psiche del paziente al fine di identificare la causa che lo ha portato da lui. Ed è qui che si realizza l’inizio della guarigione: con l’incontro empatico. Il dottor Grandi lo ha fatto. Proprio come diceva George Bernard Shaw: «Con il tono giusto si può dire tutto. Col tono sbagliato, nulla: l’unica difficoltà sta nel trovare il tono».
E gli altri angeli?
Posto che in settant’anni non sono mai entrato in ospedale ad eccezione dei primi anni di vita in cui i miei genitori hanno cercato soluzioni mediche drammaticamente mai trovate in ogni angolo d’Italia, proprio in un ospedale, la clinica La Vialarda di Biella, ho trovato altri angeli. Dagli infermieri del reparto di ortopedia all’intera equipe che mi ha operato: dall’anestesista Massimo Sola a tutti i collaboratori. Da ognuno di loro uno sguardo, un sorriso, una parola di incoraggiamento fino alla conclusione dell’intervento con: é andata. Insomma non mi sono mai sentito solo, mai. E quegli sguardi, quei sorrisi, non li dimenticherò.
E la vita è cambiata come per magia?
Però nella mente si era aperta una voragine di interrogativi e tra questi quello più drammatico: potrò tornare a camminare riuscendo a utilizzare anche la protesi esterna?
E qui è arrivata la “cavalleria” dei fisioterapisti guidata dai dottori Alberto Molino e Andrea Vannicola responsabili del reparto e da Matteo Maia. Con loro un gruppo di giovani che giorno dopo giorno sono stati in grado di rimettermi in sesto non solo con la loro professionalità, ma soprattutto con la passione di chi crede in ciò che fa. E che va oltre al delicato incarico di far nuovamente imparare a camminare o a utilizzare un arto. Ogni paziente è davvero considerato unico e per questo le attenzioni sono mirate anche dal punto di vista psicologico e motivazionale. E i risultati? Quanto si vedono…
Un drappello di angeli insomma
Con loro come non citare le infermiere di turno del reparto che, sempre con grande disponibilità, si sono alternate a calzarmi la protesi esterna quando non riuscivo a farlo autonomamente. Un grazie, il mio, che ritengo giunga da ogni paziente transitato da quel reparto dalle grandi finestre.
Lei è felice insomma.
Questo breve periodo della mia vita, intenso ma rigenerativo mi ha fatto apprezzare quelle qualità umane nell’ambito sanitario che troppe volte vengono disgiunte da quelle professionali. A tre mesi dall’intervento cammino e questa è la vera, grande libertà ritrovata, a cui hanno contribuito queste persone non soltanto con la loro professionalità, ma con il loro cuore, il loro amore, con un grande impegno davvero donato e mai scontato.
C’è una morale in tutto questo?
A ben vedere, anche quel nemico invisibile, almeno per me, la Talidomide si è poi scoperto che è una potente molecola antitumorale. Insomma da un errore e dal riconoscimento di esso, è nata una speranza. È la dimostrazione che, nonostante le cadute, l’essere umano ha la capacità di rialzarsi, imparare e rinascere, con una nuova forza e una maggiore consapevolezza. In fondo la vita sta tutta qui.
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