Attualità
Ecco perché un tempo si andava in discoteca e ora non si va più
Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio
Con il pezzo precedente, oltre ai dubbi inconcludenti, mi sono poi accorto d’essermi sollecitato da solo un bel po’ di riflessioni. Ve le risparmio quasi tutte, perché potete farvele tranquillamente in proprio guardandovi alle spalle, e non le spalle con la solita diffidenza. Chiunque abbia un passato, di qualsiasi tipo, è autorizzato a riavvolgerlo nel nastro della memoria e trarne le conclusioni che crede. Se esserne soddisfatto o meno. Se rimpiangerlo o meno, ma questa è un’altra triste sindrome che è meglio lasciar perdere soprattutto se quel passato è parecchio lontano.
Non vi risparmio, però, almeno le riflessioni più pertinenti rispetto all’andazzo dei ragionamenti da poter fare e disfare su questa città. Che ci piaccia o no, l’andazzo o la città. Cercherei di farlo “Senza finire sempre nell’insopportabile manicheismo per cui tutto il buono è sempre nel decennio che fu, anche questo porta a una piccola verifica dei tempi di rincoglionimento generale che viviamo e a cui nessuno, sia ben chiaro, si sottrae.”
Il virgolettato, che rende esaustivamente l’idea, è una citazione del Tondelli di “Un weekend postmoderno – cronache dagli anni ’80” (Bompiani). Fu, quello, una sorta di saggio epocale dello stato dell’arte del giovanilismo di quegli anni e delle culture e sottoculture e controculture che questo ha prodotto.
Alla luce della dichiarazione dell’assessora citata la scorsa settimana, quella che vedrebbe bene in città una discoteca perché “se vogliamo trattenere le nuove generazioni prima che migrino verso altre zone dobbiamo offrire loro delle alternative”, mi è tornata in mente la più o meno stessa dichiarazione d’intenti fatta dal nostro sindaco durante la sua propedeutica campagna elettorale. Strano modo di leggere il futuro dei nostri giovani attraverso la lente del suo, presumo, passato: la discoteca elettorale come luogo del divertimento sociale.
Di cultura neanche a parlarne, visti gli importi messi a bilancio dall’amministrazione comunale, ma una stramba aspettativa che qualche imprenditore privato investa nel settore della musica da ballo, per trattenere i nostri giovani in città soddisfacendo in questo modo le loro pulsioni socializzanti, giusto come accadeva quando il giovane era lui e in città c’era ben più di una discoteca attiva. E i dintorni, nel raggio di una ventina di chilometri, erano costellati da grandi discoteche i cui laser illuminavano le notti del fine settimana.
Peccato che, in un’economia di mercato, l’assenza di un’attività coincida quasi sempre con la sua mancanza di redditività. Insomma, il “mercato” delle discoteche è profondamente cambiato rispetto a come se lo ricordano, per esigenze anagrafiche, sindaco e solerte assessora. Gli anni ’80 erano quarant’anni fa e dagli anni ’90, quelli di maggior splendore del fenomeno discotecaro, ne sono passati una trentina.
Il merito lo sviscerammo, qualche anno fa, a Cittadellarte, in un suggestivo incontro con il compianto Claudio Coccoluto e Pierfrancesco Pacoda, l’uno storico dj di fama internazionale e l’altro giornalista autore di vari saggi a tema club culture. Sul rapporto giovani-discoteche-città, invece, mi torna utile ripresentare una riflessione, fatta a suo tempo, dal postmoderno Tondelli: “Ancora due notti, freddissime, in giro per locali e disco in cui si ritrova la fauna trendy, per sentire un po’ di musica, per ballare, per chiacchierare bevendo birra o, semplicemente, per ammazzare la pesantezza di una vita in provincia (…) che può non solo deprimere, ma proprio intristire, far diventare cupi e silenziosi e desiderare di evadere.”
Il punto sta proprio qui: la discoteca era un posto in cui andare per vivere l’altrove, almeno nel weekend. Un altrove che ci potesse astrarre dalla pesantezza della vita di provincia, catapultandoci in un mondo di luci, suoni e colori. Spesso con gli accessori del caso, per distrarsi meglio ed evadere da professionisti. Certo, a seguire ci sono state tutte le sfumature di grigio: dai tentativi di mutazione dei locali ai genitori con il pigiama sotto le braghe in fila a tarda notte per recuperare il figlio, o la figlia, prima che spirasse anche l’ultima delle discoteche cittadine.
Quindi, tirando le somme, non mi sembra poi una grande ambizione amministrativa, quella di sperare in una discoteca che faccia dimenticare ai giovani la pochezza urbana e culturale nella quale vivono. Soprattutto, per esempio, considerando la criminalizzazione che spesso si fa di ogni iniziativa giovanile legata alle pratiche del ballo non istituzionalizzato, senza nemmeno lo sforzo di qualche comprensione del fenomeno. Sì, mi riferisco soprattutto al mondo dei rave party. Ma su quelli sarà meglio ragionarci insieme, e meglio, in futuro.
Lele Ghisio
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