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Biella

L’insegnamento del “Duca” di Melchiorre

Tra le righe, la rubrica di Enrico Neiretti

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Enrico Neiretti

La prima edizione del “Premio Biella Letteratura e Industria sezione Montagna”, istituito per celebrare i 150 anni della sezione CAI di Biella, è stata vinta dallo scrittore Matteo Melchiorre con il romanzo “Il Duca”, edito da Einaudi.

E’ un romanzo molto consistente, ricco di una scrittura altrettanto densa e di grande carattere, con una vicenda alimentata dalla scrittura stessa, una scrittura in prima persona; la voce narrante del protagonista si svela al lettore pagina dopo pagina, in una sorta di diario in cui la lenta quotidianità assume la potenza della vicenda letteraria proprio attraverso quel linguaggio poderoso, dettagliato, immaginifico, capace di trasporre la vicenda fuori dal tempo contingente e di collocarla nel flusso della storia.

E’ la storia, narrata -appunto- in prima persona dell’ultimo erede di una famiglia nobiliare un tempo potente, I Cimamonte, un giovane uomo che decide di stabilirsi nella villa di famiglia in una località di montagna, Vallorgàna.

Il mite e benestante protagonista, chiamato “Il Duca” in maniera invero piuttosto sarcastica dagli abitanti della vallata montana, sarà trascinato per via di una vicenda di furto di legname in una contesa dura e serrata con l’attuale potente del paese, un anziano ed arcigno allevatore di bestiame; una battaglia che risveglierà in lui sentimenti sopiti, dalla consapevolezza dell’appartenenza ad un glorioso casato, all’odio che si alimenterà passo dopo passo nella contesa, ad un amore desiderato e trattenuto, sino ad una riflessione fondamentale sul rapporto che si instaura con i luoghi in cui si vive.

Il legame profondo, sebbene complesso e contraddittorio, con la montagna si svela compiutamente quando il Duca comprende che il rapporto tra la persona ed il luogo che essa abita non si realizza attraverso il possesso ma bensì in virtù dell’appartenenza.

Il Duca se ne vorrebbe andare dalla montagna, ma l’amata e desiderata Maria cerca di convincerlo a rimanere: “Lei però scuoteva la testa. Diceva che il Duca di Vallorgàna non può abbandonare Vallorgàna. Io allora le dissi che semmai sono il Duca di Cimamonte, non di Vallorgàna; e che non sono né posso essere il Duca di Vallorgàna perché Valloragàna non è una mia proprietà. […] «Sei tu» affermò «che appartieni a Vallorgàna. Per questo sei il Duca di Vallorgàna».

Capita di sentirsi alieni ad un luogo perché in qualche modo il suo possesso ci sfugge. E succede di cercare l’identità in una cultura di riferimento, magari nei propri retaggi famigliari.

Nel romanzo il Duca supererà la tentazione di collocarsi nella storia potente e a tratti violenta della sua famiglia sostituendo la visione del “sangue” come simbolo di appartenenza con l’idea dell’“aria” come effettiva dimensione esistenziale.

E nell’aria che ci circonda si può davvero pensare di instaurare un rapporto vivo con i luoghi che abitiamo. È un bisogno ineludibile questo, sia esso definitivo o provvisorio poco importa. Ma ciò che conta davvero è che i sentimenti, la conoscenza e le coordinate esistenziali siano collocate lì, in quel luogo in cui agiamo le nostre giornate.

Questa dovrebbe essere una condizione naturale, ma il legame stretto tra l’uomo e l’ambiente è una cosa che si rivela nient’affatto scontata, anzi, a ben guardare può apparire un privilegio a cui possono accedere pochi fortunati.

Eppure, se si hanno la capacità, il coraggio e la fantasia di coltivare con il mondo che ci circonda una relazione fatta di osservazione, rispetto, cura e pazienza, non è così difficile scoprire legami, consonanze, elementi di prossimità culturale e sentimentale che possono davvero donarci la sensazione di essere parte del luogo che viviamo.

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