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Raglio d'asino

Il vigile Monfermoso e la nostalgia dei vecchia “ghisa”

Raglio d’Asino, la rubrica di Michele Porta

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Quello dei pizzardoni, dei ghisa, dei semplici vigili urbani è e resta un esercito. Nel nostro immaginario collettivo ‘Il vigile’ è rimasto, forse, quello dell’omonimo film italiano del 1960, interpretato da Alberto Sordi.

Appassionati di cinema e gente comune vedevano nella figura del vigile una sorta di rivendicazione di uno stato sociale che allora separava drasticamente chi esercitava il potere da chi lo doveva subire.

Un mestiere tra i più antichi quello del vigile urbano. Nascono nell’anno 493 a.C., a Roma, con la costituzione dei vigili plebei, guardiani del Tempio di Cerere, ai piedi dell’Aventino, dove erano depositati i “plebis scita” (norme votate su iniziativa dei tribuni) e la cassa della plebe, tanto da essere interpretati da star della nostra commedia come Sordi, Proietti, Totò, Fabrizi, Tognazzi, Mastroianni, De Filippo, Bracardi e Marenco, Banfi, Verdone, Panelli, fino a Bombolo, pizzardone corrottissimo, di quelli che, “come chiude un occhio, gli si apre la saccoccia”.

In realtà ghisa e pizzardoni rientrano facilmente nei modelli della commedia all’italiana. Buoni come un pezzo di pane, come il vigile Cecconi Bruno di Paolo Panelli, schiavi della divisa e poi del potere come il vigile di Alberto Sordi, figura che ha incarnato il grande vigile romano adorato proprio da tutti.

Quest’ultima figura ci richiama alla mente il mitico Giuseppe Monfermoso. Uomo dalla stazza simile ad Aldo Fabrizi, Monfermoso scorrazzava per le strade del biellese in sella alla mitica Moto Guzzi, indossando caschetto bianco e stivaloni neri. Inflessibile ma con tanta voglia di rendersi utile, sia quando in divisa rincorreva i fracassoni in moto, sia quando in borghese si dava da fare per il suo paese, Ponderano.

Credo che nessuno dei vigili “terribili” biellesi siano rimasti impressi nella memoria come il “Monfo”, rimasto in strada con la sua fedele paletta bianca fino al giorno del suo pensionamento.

Ricordo che negli anni ‘80, in sella al mitico “tubone” il cinquantino Fifty Malaguti prima e il 125 Fantic Caballero dopo, provocare il Monfermoso per tanti ragazzi era una sfida.

Allora le regole erano diverse: non c’era l’obbligo del casco, i motorini venivano truccati sostituendo il carburatore da 14 con quello da 19 e il marmittone veniva svuotato provocando ad ogni passaggio in strada un rumore infernale. Partivano in fila indiana a velocità moderata, ma appena arrivavano alle porte di Gaglianico si aprivano le danze.

Il “Monfo”, quasi sempre mimetizzato dietro a qualche angolo della strada, al loro passaggio agitava disperatamente la bianca paletta per poi salire in fretta e furia sul suo guzzone d’ordinanza e rincorrerli per le vie della città.

Quasi sempre ai fracassoni andava male e la multa era assicurata, qualche volta (poche…) invece andava meglio e, cercando di insegnare le regole della civiltà nella guida e nel rispetto degli altri, rifilava una semplice tirata d’orecchio o un ceffone.

Oggi i vigili urbani alla Monfermoso non esistono più. Tutta brava gente, i vigili, ma purtroppo le voci di bilancio comunali (il costo del personale per la polizia urbana a Biella supera i 2milioni di euro l’anno con una spesa pro capite di 52 euro per abitante) e la difficoltà nel reperire risorse, impongono come principio per il Comune fare cassa.

Così i vigili urbani sono chiamati sempre più spesso a svolgere il ruolo di esattori con l’obbligo di compilare i foglietti rosa e infilarli sotto il tergicristallo dell’auto, a volte anche quando il parcheggio pirata sfiora di qualche minuto il senso civico.

Sono le nuove tasse ai tempi del coronavirus. Un “Far West” dove è sempre il cittadino a rimetterci i soldi. Con un po’ di nostalgia, vorremmo che pizzardoni e ghisa, oltre a continuare a multare “fracassoni e maleducati”, tornassero ad occupare quel ruolo che li ha resi così celebri in passato, ovvero, a gestire il traffico nelle ore di punta, a presidiare a piedi le vie della città nell’intento di migliorare la qualità della vita dei cittadini e non, in tempi di far west, ad essere guidati dalle scelte scellerate di qualche “sceriffo tutto chiacchiere e distintivo”.

Michele Porta

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