Gli Sbiellati
Sono vent’anni che l’11 settembre non è più un giorno qualsiasi
Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio
Certe ricorrenze sono come fucili di ricordi puntati in faccia. Le guardiamo avvicinarsi con l’orrore negli occhi che rivedono, con il terrore d’avere a che fare con le stesse paure, trasformate in qualcosa che assomiglia alla nostalgia di ciò che siamo stati, in preda a quell’incredulità che si è portata a spasso per il mondo e per la storia le certezze di cui eravamo così sicuri.
In realtà le ricorrenze non trasformano nulla, solo ci rammentano la fragilità di cui siamo stati capaci e siamo ancora. Sono vent’anni che il mondo è cambiato d’improvviso, senza tornare mai più uguale a prima. Sono vent’anni che l’11 settembre non è più un giorno qualsiasi, salvo forse per chi è nato dopo o ne ha un ricordo troppo sfocato. Lo testimonia il gioco della memoria, quello di chiederci dov’eravamo allora e ricordarcelo senza esitazione: un punto e a capo della storia contemporanea.
Io non so come reagì la città, quel giorno di vent’anni fa: coi telefoni si telefonava ancora, e i social erano un futuro ancora non scritto tra le righe del web. Ero altrove per ragioni professionali, annichilito di fronte alla tv di una stanza d’hotel a vedere corpi cadere nel vuoto da grattacieli in fiamme. Non posso ricordare se la città s’ammutolì o continuò a fare lo stesso rumore del primo pomeriggio. Non so dire le facce che avevamo allora di fronte a quell’accadere.
So invece lo scoramento provato di recente, rivedendo negli occhi degli afghani la faccia della disperazione. Vent’anni cancellati di botto, da ragioni sovranazionali che spesso ragioni non sono: solo interessi di bottega, propaganda e geopolitica trasformata in geoeconomia. Mentre noi stiamo al social bar a piangere sulla dittatura sanitaria, c’è chi muore ancora per quella vera, avvolto in quel vilipendio alla religione che chiamano sharia.
È un anniversario ben più triste di quello che avremmo immaginato: l’11 settembre 2001 ci ha lasciato in eredità una libertà monca, in ragione dell’ossessione del controllo e della paura che ci scorre in vena, ancora, da allora. Vent’anni fa io non ero qui, ma questo giornale pubblicò una mia riflessione a caldo, che ho ritrovato e riletto. Era intrisa di domande rimaste senza risposta e non credo che oggi scriverei qualcosa di molto diverso. La ripropongo adesso, per rileggere quelle emozioni e per una sorta di esorcismo retorico nel giorno dei vent’anni da allora, ma all’alba di una nuova e diversa disgrazia per molti.
L’America non ha più grattacieli.
Quanta attesa c’è nell’aria? Quanti e quali pensieri distraggono la routine? Quanto odoriamo di morte fin da ora? Quale il dibattito possibile sull’eventualità di vendetta, sulla certezza di morte ancora, su mostri da tv & prime pagine con la circostanza scritta in faccia e un ghigno dietro agli occhi?
Che è giunta l’ora di svuotare i magazzini di armi intelligenti – i deficienti, si sa, sono gli uomini. Che è giunta l’ora di mostrare di quali muscoli siano capaci i maestri del pensiero forte. Occidente a Ovest del nulla, col troppo da difendere, siano orticelli o grattacieli. Distrutti da un pensiero. Da una fede cieca, ma spirituale. Assurda, ma non banale.
S’incastrano in volo tutti i pensieri possibili, aggrovigliando idee intorno alle cose, ricostruendo fatti, disegnando probabili scenari. Qualcuno ha cominciato a piangere e s’è accorto d’avere lacrime. Col mondo non si gioca. Non si dovrebbe. È l’orrore a ridimensionare l’arroganza, sottile sconfitta del pensiero, che il desiderio di vendetta seppellirà per sempre sotto cumuli di altre macerie. Sotto lacrime di altri dolori. Senza che un perché venga indagato, sofferto, voluto. Spiegato?
È atroce pensare ai fatti. Ancora più atroce quest’attesa. Che scendano i leoni nel circo, complice la nostra abituale indifferenza. Del senno di poi, qui, non si riempiono le fosse. Forse di denaro e sangue, di odio e vendette. Inseguiamo gli errori correndo veloci, guardandoli accadere come fatti di cronaca. Cronaca marziana, cronaca lontana sino a quando avremo – come abbiamo realmente avuto – un dolore dentro, ancora.
Incolliamo i nostri sensi a un video e ci aggrappiamo alla stessa attesa, morbosi e timorosi. Ma di capire quanto c’importa? Di capire quell’altro che s’ammazza e ammazza, di capire noi, dove siamo arrivati. A un passo dall’ostentare Noi; dall’alzare la voce più che si può, dallo sferrare uno dei cazzotti più potenti della storia, quella con la “s” minuscola.
È a questo punto, forse, che Gandhi o Gesù avrebbero porto l’altra guancia. Ma l’America, non ha più grattacieli. E neanche religione. (11/09/2001)
Lele Ghisio
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