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Sindacalisti: tre castagne e una ciliegia

Raglio d’asino di Michele Porta

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BIELLA – Archiviato il 2021, già nei primi giorni del 2022 ecco i primi scioperi. Non occorre essere profeti o veggenti per prevedere la sceneggiatura della “giornata tipo” quando lo sciopero scende in piazza o si raduna con bandiere e fischietti davanti ad un’azienda. Di solito gli attivisti sono in pochi, tutti rigorosamente in fila indiana a protestare contro l’establishment con inevitabile gara a chi lancerà l’insulto più fantasioso sperando poi in un post sui “social” per prendersi un minuto di notorietà.
Tutto già scritto, visto e sentito. Scioperi sulla sanità, sulla scuola, sui trasporti pubblici, per la polizia locale, insomma ce ne sono un po’ per tutti i gusti.

Anche se è legittimo scioperare (lo sancisce l’art. 40 della Costituzione Italiana), ogni tanto, dico ogni tanto, dovremmo chiederci se in questo Paese esiste una testa pensante, o qualche persona coraggiosa, che si domandi a che cosa servano ancora oggi gli scioperi e i sindacalisti (anche se questi ultimi sono, comunque, tutti brava gente).

Nel 2012 al bar Milano di via Torino incontrai Orazio Scanzio, al tempo direttore del Collegio Edile. Mi raccontò che era appena uscito da una trattativa sindacale. Gli chiesi, vedendolo affaticato, se era stata una riunione pesante. Con il suo consueto linguaggio dialettale mi rispose che aveva assistito un’azienda, che versando in condizioni economiche difficili era stata costretta a tagliare un dipendente. Le regole imponevano il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali. Continuando nell’esposizione, mi raccontò che il risultato dell’incontro era stato sconcertante. Il dipendente dell’azienda era l’unico iscritto alla categoria sindacale e i rappresentanti di quella classe non accettarono il licenziamento di una singola persona perché, a loro dire, sarebbe stato discriminante. Chiesero e ottennero, invece, di inserire nel provvedimento il licenziamento di ben tre persone. Così facendo avrebbero salvato la faccia nei confronti dei loro iscritti. Rimasi incredulo, devo ammetterlo. Mi guardò con un sorriso sornione e disse: «Adesso hai capito chi sono i sindacalisti? Contrattano per tre castagne e una ciliegia».

Oggi, a distanza di anni, tutto è cambiato, in peggio. Le iscrizioni al sindacato sono crollate con numeri impietosi: ormai rappresentano per lo più i pensionati (iscritti con trattenuta e rinnovo automatico) o, se va bene, un limitato segmento di occupati tradizionali. Tutto il resto, come i giovani, i disoccupati, i sottoccupati, la stragrande parte dei lavoratori del privato e gli autonomi, non ha più nulla a che vedere con le correnti sindacali.

Vivono una vita diversa: un altro mondo, un altro pianeta a dispetto delle parole dei massimi dirigenti. Come denunciato anni fa dall’ex presidente dell’Inps Tito Boeri, tra le tante storture del sistema pensionistico italiano c’era il problema dei sindacalisti, che in molte situazioni hanno avuto un trattamento previdenziale che era del 60% migliore di quello dei cittadini qualunque; e il tutto grazie a una furbizia. Prima che un sindacalista lasciasse il lavoro, la sua sigla versava all’Inps un contributo extra e poiché la pensione era calcolata sugli ultimi versamenti, il gioco era fatto. Per fortuna con le ultime circolari qualcosa è cambiato e l’Inps ha messo un freno alle facili pensioni d’oro. Resta comunque il fatto che le contribuzioni aggiuntive pagate dal sindacato, continueranno a incidere ancora oggi sulle pensioni, anche se in forma minore.

Un sistema, quello del sindacato, che per la smania del protagonismo non è più capace di rivolgersi a un pezzo di mondo nuovo, ma a differenza dei nostalgici del Novecento, ha capito che, come nella politica, il vitalizio vale molto di più di quelle tre castagne e una ciliegia.

Michele Porta

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