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Passato il coronavirus correremo tutti a fare apericena

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Andrà tutto bene. Ce lo stiamo ripetendo come un mantra, come se bastasse a trasformare la speranza in certezza, ma non andrà tutto bene. Per qualcuno, parecchi, non andrà affatto bene. Ad alcuni, parecchi, già non è andata per nulla bene. Il senso di questo andare bene lo dovremo cercare quando prima o poi, e chissà come, usciremo da questo incubo postmoderno e dalle nostre case. Da quel momento in avanti, ci sarà stato un prima e ci dovrà essere un dopo.

Il dopo possiamo giocare a immaginarlo: correremo tutti al centro commerciale e poi al primo apericena possibile, a dimenticarci in fretta l’ansia del durante e l’irresponsabilità del prima. In ogni caso, ci saranno ceneri dalle quali risorgere e il dopo porterà con sé responsabilità ineludibili.

Come quelle relative a un sistema sanitario che in questa situazione d’emergenza mostra tutti i suoi limiti e le sue straordinarie capacità di resilienza. Un sistema sanitario che siamo abituati a dare per scontato e di cui siamo stati spesso capaci di lamentarci con una imbarazzante superficialità. Ora, complice la strizza quotidiana, siamo a tesserne le lodi e applaudiamo medici e infermieri dai balconi.

Detto questo e senza voler puntare il dito contro nessuno, vorrei che facessimo insieme una riflessione, e per farlo utilizzerei parole che ho letto di recente e che, nella loro sintesi, mi paiono di estrema efficacia: il sistema sanitario è pubblico, ma non gratuito. Per cui plaudo a ogni raccolta fondi che mi si presenta innanzi: da quella degli Amici dell’Ospedale a quella del Comune; da quella delle piccole a quella delle grandi associazioni. Plaudo persino alle donazioni di privati e aziende. A quelle di Berlusconi degli Agnelli e dei Lavazza. A chi spesso e volentieri si era erto a paladino del liberismo sanitario inseguendo la chimera del privato che è anche bello.

Il momento che stiamo vivendo suggerisce però che la logica del profitto accompagnata alla salute può uccidere le persone, casomai non lo avessimo intuito prima. Ma sembra che sia sbocciato un nuovo amore tra noi e il sistema sanitario. Ricordiamoci di ricordarcelo, anche in quel “dopo” di cui parlavo prima. Non rinneghiamo questo amore. Ricordiamoci che il sistema sanitario non è gratuito, perché è finanziato con le nostre imposte: è il gettito fiscale che ne garantisce il mantenimento. È roba nostra, da applaudire. A patto che non gli si neghino le risorse necessarie attraverso i tagli della politica o attraverso l’evasione fiscale.

Perché noi italiani, si sa, siamo esperti dell’evasione e maghi dell’elusione. Ed è con quelle che facciamo mancare l’aria al sistema sanitario. Nell’ultimo rapporto utile dell’Istituto di ricerche economico sociali del Piemonte (Ires) sulla stima dell’economia sommersa e del rischio di evasione fiscale nella nostra regione, emerge che è Biella il Comune Capoluogo caratterizzato da maggior rischio di evasione (pag. 40). Ecco.

Aderiamo pure con entusiasmo alla campagna di raccolta fondi di #donosalute, o a quella che preferiamo, per affrontare l’emergenza. Ma “dopo”, non dimentichiamocene e non facciamo ipocritamente mancare l’aria al sistema sanitario. L’evasione fiscale fa male alla salute.

Lele Ghisio

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