Attualità
«Mi piace fare il presepe perché è poverello»
Bruno Belmonte, 55 anni di Cossato, allestisce la Natività in salotto da quando era bambino. Ha imparato da grandi maestri
COSSATO – Scalpita per mostrarcelo e si commuove a guardarlo, il suo presepio. Bruno Belmonte ha 55 anni ed è originario di Scalea, in provincia di Cosenza.
«Nel Meridione lo fanno tutti – dice -. Ogni casa, anche un buchino, ha il proprio presepe. Giù non ho mai fatto l’albero. Il presepio è poverello, l’albero è da ricchi, è signorile. Guardalo lì – e ce lo indica sul lato opposto della stanza -, vedi l’eleganza? Il presepe invece – e sposta lo sguardo – c’ha ‘ste case rotte. Da quando sono in Piemonte lo faccio per rispetto alla moglie Franca, che ci tiene. Lo stesso vale per le illuminazioni, le metto da quando sono nati i figli, Orlando Vittorio e Adele».
«Mi sono trasferito il 23 ottobre 1992 per motivi di lavoro, trent’anni fa, prima a Pettinengo, tramite parenti, poi pian piano sono venuto a Cossato. Faccio presepi artistici per passione in stile partenopeo, come i presepi napoletani, costruendoli su più livelli con la carta roccia e il legno. Ho iniziato quando avevo 9 anni. L’insegnamento mi arriva da grandi maestri. Mio papà Orlando è mancato quando ne avevo 7. Anche lui li faceva, con la scagliola, ossia gesso, venivano in tanti a vederli».
«Io ho iniziato con uno piccolino, poi mi sono sempre allargato fino a impegnare una stanza intera. Avevo chiamato addirittura una ditta di muratori amici, che avevano sistemato l’impalcatura. Già allora ci mettevo l’acqua nei ruscelli. Copio e rubo scene da tanti maestri. Recupero muschio e carta roccia. Per costruire piani diversi uso le cassette della frutta. Come ho detto, il presepio è poverello. Guarda anche ‘sto ponte, non è perfetto, è semplice. Costruisco tutto io con le cortecce e faccio gli steccati con i rametti, con il silicone e con la colla. Quando è tutto asciutto lo sistemo».
Bruno inizia l’opera a ottobre. «Me la prendo comoda – ci spiega ancora, mentre si sentono i gorgheggi dell’acqua e la stanza si rabbuia -. Sotto il presepio, ho messo la centralina che programma l’alba, il giorno, il tramonto e la notte appunto, con le stelle. Ho creato due ruscelli, due fuocherelli, tre fontane e ci sono venticinque pastori in movimento provenienti da via San Gregorio Armeno di Napoli, la famosa strada dei presepi, che non ci vado, altrimenti ci lascio il portafoglio».
Nel presepe, allestito in salotto, ci sono i pastori che dormono accanto al fuoco, il ricottaro, i panettieri, il mulino, i contadini e la locanda. «Ci sono cinque paeselli illuminati in lontananza, con i ponticelli che collegano i tre livelli – precisa -. C’è la mucca che mangia, muovendo la testa. C’è la fontana con i panni stesi che sgocciolano. Impiego tante viti, non chiodi. La moglie mi aiuta a fare la base, al resto ci penso io, anche perché so’ geloso».
«Certo – ammette – Franca dice che faccio casino, che metto la casa sottosopra. Si barbotta per la confusione, ma quest’anno sono stato abbastanza ordinato e pulito. Il presepio lo faccio con dei sacrifici per finirlo, anche di notte, e non chiedo niente a nessuno. Poi è un’emozione guardarlo. Quando lo disfo scrivo sulle scatole tutto quello che c’è dentro, per saperlo ricomporre senza diventare scemo».
«Sullo sfondo ci sono le montagne con le vette innevate. Si fanno con un foglio di carta stropicciato, con il nero e il bianco faccio il grigio chiaro e spennello le punte, sembrano vere».
Però manca qualcosa. Ci vorrebbe un po’ di musica, e a dirlo Bruno balza ad accenderla. Se n’era scordato. Il presepe lo riporta poi al suo paese, Scalea, che gli manca. Ne parla tronfio d’orgoglio.
«Sento lontani gli amici soprattutto, che ne ho tanti e a farne i nomi arriviamo a sera. Sono 12 anni che non torno a casa, che vergogna! Quando andrò in pensione, ci andrò più spesso e ci starò almeno sei mesi ogni volta. È il mio paese, non dei miei figli. Loro sono cresciuti qua. Ci andrò io, farò il pendolare, come fanno un po’ tutti. Sai – conclude – essere tristi a che serve? Si ride in compagnia e si piange da soli. Noi del Sud siamo casciari, rumorosi, ci piace divertirci e finiamo sempre a tarallucci e vino».
Anna Arietti
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