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La forza del pensiero

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Che fatica, il vivere questi tempi. Non intendo fisicamente, intendo la difficoltà psicologica del vivere quest’Occidente, quello esteso ben al di là del concetto meramente geografico. Abitare il Primo Mondo e stare al passo costa fatica, e una buona dose d’ansia ai più sensibili. Con la vita misurata a obiettivi, nell’orbita di un progresso che non si può fermare visto che si regge, anche economicamente, sulla sua circolarità.

Per stare a galla bisogna fare sempre “di più”: di prima, degli altri, di soldi, di merci, di prodotti interni lordi. Confondendo tutto ciò con il progresso, che a sua volta ben si confonde con l’interesse e certa ineluttabilità che ci siamo costruiti addosso. “Produci consuma crepa” declamavano in tempi meno sospetti i Cccp, quelli Fedeli alla linea. Ben più di una citazione pop, quasi un’evidenza e un destino.

Tranquilli, non è l’introduzione a un manifesto neoluddista: sono attratto dalla tecnologia e curioso degli sviluppi futuri, almeno fin dove posso arrivare a viverli (lo sarei anche oltre, ma…). Solo che ogni tanto capita d’inciampare in qualcosa che costringe a rallentare, a pensarci su al riparo dai riflessi condizionati che tanto caratterizzano le nostre giornate.

Sulle spalle sopportiamo, quotidianamente, un sovrappeso d’informazioni perlopiù inutili: “Basta il tutto sempre, il niente somma di infiniti addendi”. A quanto pare anche da letture estremamente pop possono saltare agli occhi perle di saggezza come dire… popolare. Pensavo di leggere un libro che parlava di canzoni, ci ho trovato invece qualche motivo di riflessione: “Punto disperatamente alla qualità. E vorrei anche qualcuno da cui imparare. Provate quest’altro gioco: scrivete cinque persone che vi dicono quasi sempre cose importanti e inconsuete. Figure illuminate, gente di pensiero. Fate anche voi fatica?” (da “Mytunes” di Maurizio Blatto, Baldini & Castoldi).

Bene, io quest’altro gioco l’ho fatto. E, contravvenendo alle policies che questa rubrica si è imposta (il non citare mai nomi e cognomi di personaggi locali, e un giorno magari spiegherò perché), posso rivelare senza nessun imbarazzo che, per me, una di queste cinque persone è senza dubbio Bruno Guglielminotti, sociologo.

Visto che nulla accade a caso, in uno di questi giorni per me così riflessivi Bruno ha presentato un suo libro. È stato un peccato notare come questa presentazione, presso la sala conferenze di una fondazione cittadina, sia stata così poco partecipata. A quel punto, anche questa osservazione si è aggiunta in coda alle riflessioni in essere.

Mi sono chiesto come mai, in questa città, il pensiero sia così sottovalutato. Di fronte alla fuga più o meno giustificata di parecchi cervelli, lui il suo l’ha sempre mantenuto al servizio della nostra comunità. Come formatore e come sociologo. Non è nuovo alla pubblicazione, anzi. È autore di numerosi saggi e articoli. “Note e divagazioni appese a un filo” (E20progetti editore) è però il suo lavoro più intimo, in cui mescola scrittura narrativa e scrittura saggistica.

Un pretesto per raccontarsi attraverso una trama di fantasia con il pudore che lo contraddistingue, ma anche il pretesto per dire, anzi ribadire, analisi e concetti già espressi sui giornali locali. Una sorta di raccolta di pensieri, chissà quanto davvero socialmente eretici, affinché non siano dispersi nella memoria tipografica di un giornale già vecchio il giorno dopo. Per riordinarle, quelle idee.

Quindi questa città e questo territorio qualcosa da dire ce l’ha, ma l’impressione è che quelle come la sua siano voci sommesse. Isole di pensiero alla deriva, nel mare effimero di ciò che, invece, è evidente agli occhi: una comunicazione politica e amministrativa infantile, convinta che l’essenziale sia la visibilità e l’ambizione personale, e non l’elaborazione del pensiero. I social continuano a vomitare immagini di assessori e sindaci in pose inutili alla buona amministrazione; i giornali riverberano comunicati di lotta o di governo con poco o niente costrutto.

La sensazione è che persone e intelligenze come Bruno siano ampiamente sottovalutate e poco impiegate nell’azione amministrativa. Amministratori, o aspiranti tali, si sono ridotti a impiegati dell’ordinaria amministrazione, privi di capacità progettuale e incapaci di dare una lettura delle necessità che non siano quelle elettorali. Selfie e caccia al consenso versus pensiero. E non si venga a riproporre la bieca retorica del “fare”, che l’azione ha da seguire il pensiero altrimenti resta priva di significato. Prendiamoci una pausa e facciamolo tutti “quest’altro gioco”, poniamoci in una posizione di ascolto invece di parlare spesso per niente.

Lele Ghisio

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