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Il problema non è Fortnite

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Ancora non esiste una giornata mondiale del luogo comune. Nonostante il timido tentativo, qualche anno fa, di una “settimana del luogo comune” divenuta un’iniziativa di successo su Facebook. Ma se quel tentativo era parodistico nella sua evidenza, io invece proprio auspicherei una giornata mondiale durante la quale gli spacciatori di luoghi comuni si possano sfogare liberamente, trovando una qualche legittimità al loro sproloquio.

Per ora fermiamoci qui e riavvolgiamo un analogico quanto metaforico nastro, per provare a spiegarci meglio e persino a contestualizzarci. La notizia di cronaca è quella che ci riferisce di una rissa in città, l’ennesima sotto questa giunta della sicurezza dronica, scoppiata questa volta tra ragazzini appassionati di Fortnite.

Un videogioco online che andava parecchio di moda già da sé, figuriamoci in tempi di clausura obbligatoria. In quel mondo virtuale si lotta per la sopravvivenza l’uno contro l’altro: da soli, in coppia o a squadre. C’è pure una modalità chiamata “Rissa a squadre”, che mi sembrerebbe la più pertinente non fosse che nella vita reale una squadra intera se l’è presa con un solo avversario, che ha avuto comprensibilmente la peggio e una prognosi di una ventina di giorni.

Questo è il focolaio che ha scatenato l’epidemia di luoghi comuni, sui social e in ogni luogo ove fosse possibile: le mascherine non si sono rivelate una protezione sufficiente. Proviamo a farne un breve, approssimativo, elenco: se mio figlio fa una cosa del genere lo riempio di botte; cosa ci facevano a quell’età in giro a mezzanotte; basta coi videogiochi violenti; i giovani d’oggi sono suggestionabili; quelli che l’han menato erano del Villaggio.

Non è mia intenzione entrare nel merito della questione, ci vorrebbero ben altri elementi. Però è certo che il moralismo rilasciato nell’aria da notizie di cronaca di questo tipo è piuttosto fastidioso, oltre che scontato. C’è da rilevare un elemento interessante: abbiamo passato qualche mese a recriminare sul fatto che i ragazzi fossero chiusi in casa e privati delle loro relazioni, e alla prima manifestazione fisica – forse un po’ troppo – di ritorno alla vita sociale altro non sappiamo esprimere che luoghi comuni?

Perché, quest’attitudine, somiglia molto all’autoassoluzione di chi fatica a bestia a fare un’autocritica decente. Che potrebbe magari significare mettere in discussione il proprio modello di vita, piuttosto che le imbecillità dei ragazzi che in qualche modo ne sono la conseguenza. E quest’affermazione non vuole per nulla essere assolutoria nei confronti dell’imbecillità degli adolescenti. Quante volte abbiamo sentito la cantilena lamentevole del fatto che i giovani dovrebbero vivere di più la vita reale che quella virtuale? Che dovrebbero passare meno tempo sui social e incontrarsi di persona? Ecco, lo hanno fatto. A loro modo, ma lo hanno fatto. Si sono presi a legnate, ma lo hanno fatto.

E a chi fosse invece a favore dei bei tempi andati (parafrasando un bellissimo pamphlet dell’epistemologo Michel Serres, titolato “Contro i bei tempi andati”) potrei raccontare che non andavo ancora alle elementari quando i miei zii mi regalarono un mitra giocattolo e un elmetto militare. Ma ancora non ho ammazzato nessuno. A quell’epoca – lontana! – ero anche abbonato a Topolino, che era ben farcito di pubblicità di armi giocattolo, buone a sottolineare la virilità possibile e socialmente riconosciuta dei bimbi che l’avessero possedute, mentre per le bimbe non c’era altra speranza che un forno per i biscotti. E comunque credevamo a Babbo Natale fino alle medie ed eravamo convinti che i bambini li portassero le cicogne. Ma che volete, sono i ragazzi d’oggi a essere suggestionabili.

Poi siamo cresciuti leggendo “La settima vittima” di Robert Sheckley, guardando “Arancia meccanica” di Kubrick, ridendo forte delle sberle e dei cazzotti che Bud Spencer e Terence Hill dispensavano a destra e a manca. A carnevale, il “Codice di Pralungo” era d’uso e costume a ogni Bal dal lunes che si rispetti, e di gente finita all’ospedale ne conosco. Oggi, in qualsiasi momento, chiunque può guardare sul proprio telefonino un vero poliziotto americano premere il suo ginocchio sul collo di un afroamericano inerme per nove minuti fino ad ammazzarlo. Davvero il problema sono i ragazzi e Fortnite?

Lele Ghisio

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