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I primi 99 anni di Sidony Conti

Cossato

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Originaria della frazione che porta il suo stesso cognome, conosciuta anche come Cà di Bcché, Sidony Conti ha compiuto 99 anni lunedì scorso e noi l’abbiamo incontrata.

«Sono nata il giorno di santa Rita, poteva chiamarmi così mio papà, invece gli era piaciuto un nome un po’ strano, non ho mai capito perché – ci racconta -. E un altro particolare, noi abitavano alla frazione Conti e mai dicevamo Cà di Bcché perché ci vergognavamo. Bec, il becco, è il maschio della capra. Sono andata a scuola alla Margherita, nella vecchia sede. Era grande, aveva tre classi, dalla prima alla terza, con venticinque/trenta bambini. Un giorno papà mi aveva comperato una bambola grande così – e fa segno con la mano fino all’altezza del ginocchio -, tutta snodata. Ricordo che mi era caduta e si era rotta la testa in ceramica. Ho pianto. Lui avrebbe voluto comperarne un’altra, ma non si poteva. Era già costata 100 lire, un mese di lavoro. Ho conosciuto mio marito Marino Rivardo quando avevo 21 anni, nel 1945, appena finita la guerra. Per tre anni abbiamo fatto l’amore di nascosto.

“Era una cosa che non si poteva fare, i genitori ci assistevano – e Sidony sorride-. Ci siamo sposati nel 1948. Marino è mancato il 19 novembre del 2000. Abbiano vissuto insieme per 56 anni».

Della sua gioventù, Sidony ricorda gli aerei militari che le passavano sopra casa, facendo un gran frastuono. «Erano carichi di bombe – e ne imita il rumore, tanto le è rimasto nella mente -, pensa che correvo all’abbaino sui tetti e guardavo Milano che bruciava».

Avevi paura?
«Macché, guardavo il cielo tutto rosso, un gran bagliore. Nella mia frazione i militari fascisti e tedeschi sono arrivati nel 1943, quella volta sì ho avuta paura. Mio papà lavorava a Buronzo e alla sera rimaneva là. Non trovandolo i soldati avevano messo tutto a soqquadro. Avevano piazzato quarantacinque mitragliatrici davanti a casa nostra e avevano poi portato me e mamma alla Gil – oggi scuola media Leonardo da Vinci -. Ci avevano chiuse in una stanza, poi quando hanno visto che papà era vecchio, ci hanno rilasciate».
«Ho avuto un figlio, ma la levatrice non aveva fatto bene il suo lavoro e l’aveva lavato subito, invece di prenderlo per le gambine per fargli circolare il sangue e lui, piccolino, è venuto nero ed è morto – aggiunge ancora -. Gli abbiamo fatto la sepoltura e il cortile era bianco di fiori. Poi mi è venuta la mastite, la mia disavventura, mi è stata tagliata la mammella con le ghiandole e non ho più potuto avere figli. Mio marito è stato bravo, mi ha portato in giro per l’Europa e in Israele. In Germania avevo visto le donne con le gambe accavallate che aspettavano gli uomini vicino alle case chiuse, ho persino fatto le fotografie. Abbiamo smesso di viaggiare quando le gambe non ci portavano più. Mio marito coltivava piante da giardino, orto e frutteto alla frazione Picchetta, dove abitava. Abbiamo poi fatto una casa nostra, una cascina, nella zona dell’Armondà – regione Remondato -. Ha cessato l’attività con la pensione».

Sidony, ci sono altri ricordi di cui vuoi parlare?
«Il pensiero più brutto è che non ho potuto avere figli. Avevo tre sorelle e abitavamo nello stesso crocicchio, fra le vie Martiri, Spinei e l’Armondà. Tea ne aveva 92 anni, e Ada era del 1932, è morta 5 anni fa. Ho allevato un nipote fin da quando era piccolo, a cui sono affezionata come a un figlio, e gli altri forse sono un po’ gelosi. Per il resto, ho lavorato per 26 anni come tessitrice alla Manifatture Gallo. Poi mi sono ammalata. Leggevo molto e facevo l’uncinetto. Mi piaceva tanto coltivare l’orto. Ancora oggi mi piacciono i fiori. Qui – dice – c’è un’orchidea che non bagnano mai. Lo dico, ma loro non lo fanno – Sidony si riferisce al personale della Casa di riposo di Brusnengo, in cui è ospite e chissà che a scriverlo sul giornale, la pianta ora venga bagnata -».

E di oggi, Sidony, cosa dici?
«Ti racconto che mi è venuta l’influenza e poi sono caduta e mi si è incrinata una costola. Ho provato un dolore forte e poi ho fatto due vaccini. Prima di quelli stavo bene, mangiavo e dormivo, anche se avevo la badante. Ero a casa. Adesso ci vedo e sento poco, ma ho buona memoria».
La chiacchierata sta per concludersi, quando si avvicina l’animatrice Roberta e le ricorda le poesie che ama e lei ce ne recita splendidamente due, brillante in viso.
Anna Arietti

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