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«Ho lottato per due mesi tra la vita e la morte»

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«Ogni pomeriggio i medici dicevano ai miei familiari di prepararsi al peggio, non sapevano se avrei passato la notte. Il Covid-19 non guarda in faccia nessuno: vecchio o giovane, se per qualsiasi ragione in quel momento hai il sistema immunitario un po’ più debole, sei a rischio».


A raccontare il lungo calvario vissuto è Luciano Gervini, settant’anni appena compiuti, uno dei primi biellesi ad aver affrontato l’abisso del coronavirus. Dopo aver lottato per tre mesi tra la vita e la morte, oggi può fortunatamente rendere pubblica la propria esperienza, una lunghissima battaglia che ha lasciato parecchie cicatrici. «In realtà – premette – buona parte della mia storia mi è stata raccontata successivamente, perché del periodo passato in coma non ricordo più nulla. E forse è addirittura meglio così».


Presidente della sezione provinciale dell’Associazione Nazionale Polizia di Stato, Gervini è un ex ispettore in pensione, con una lunga carriera alle spalle. In salute e senza particolari problemi di sorta («all’epoca non avevo patologie e non prendevo pastiglie, assumevo solo un broncodilatatore per un principio di bronchite cronica»), a 69 anni si è ritrovato a dover combattere un nemico subdolo e sconosciuto.


«Tutto è iniziato ai primi di marzo – racconta -, eravamo agli inizi dell’epidemia. Mio figlio era ricoverato e si è dovuto recare in un ospedale fuori provincia per alcune visite, ospedale che tre giorni dopo è stato chiuso per l’epidemia di Covid. Non so se lo abbiamo preso lì, so soltanto che siamo stati tutti contagiati: mio figlio, la sua compagna, mia moglie Marilena ed io».
Ad avere la peggio è stato proprio Luciano, mentre i suoi familiari se la sono cavata con un periodo di febbre, lo stesso sintomo che inizialmente aveva anche lui.
«Era molto alta – continua -. Antibiotici e tachipirina praticamente non avevano effetto, così dopo circa una settimana il mio medico ha chiamato il 112 e sono stato portato al pronto soccorso. Mi è stato chiesto se volessi rimanere in ospedale o farmi curare a casa. Sono rimasto, e credo che questa sia stata la mia salvezza».


Nel giro di poco tempo, infatti, la situazione è letteralmente precipitata. Gli è stata diagnosticata la polmonite bilaterale ed è risultato positivo al Covid-19: «Mi hanno portato in reparto e messo una sorta di scafandro per aumentare l’ossigenazione – aggiunge -, ma non era sufficiente. Quindi sono stato spostato in un altro reparto. Poi ho perso conoscenza e da quel momento non ricordo più nulla».


Gervini si è risvegliato due mesi e mezzo più tardi, dopo essere sostanzialmente andato e tornato dall’aldilà.
«Quanto successo in quelle settimane – spiega – mi è stato riportato da familiari e medici. Quando ho ripreso conoscenza, ho appreso di essere stato trasferito più volte, prima in Rianimazione a Biella, poi a Novara e, dopo oltre un mese, di nuovo a Biella, dove ho trascorso altre quattro settimane in terapia semi-intensiva, in una stanza dedicata ai pazienti Covid».
All’inizio di maggio, finalmente, i primi miglioramenti, anche se l’uomo che si è risvegliato non era lo stesso che si era addormentato: «Avevo perso 26 chili, non stavo in piedi, ero ridotto a una larva. Piano piano ho recuperato e il 29 maggio sono stato dimesso».


Oggi, come detto, porta addosso i segni tangibili di questa drammatica esperienza, dalla voce cambiata dopo la tracheostomia eseguita per aiutare i suoi polmoni a respirare, fino ai problemi di cuore. «Per salvarmi – sottolinea a questo proposito – i medici hanno fatto di tutto, chiedendo anche di poter sperimentare cocktail di farmaci per curarmi, tenermi in vita e spingermi a reagire. Questo mi ha aiutato a sconfiggere il Covid, però ovviamente ha avuto altre ripercussioni sul mio corpo».
Nulla in confronto a ciò che ha rischiato: «Mi è stato detto chiaramente che nessuno credeva potessi farcela in quelle condizioni disperate. Il ricovero immediato, prima che la situazione generale diventasse critica in Terapia Intensiva, e la mia buona fibra, mi hanno salvato. Probabilmente sono un po’ un miracolato. L’incubo vero però lo ha vissuto chi mi stava accanto. Basti pensare all’attesa della telefonata quotidiana, che poteva portare la notizia peggiore. Mia moglie adesso ha addirittura cambiato la suoneria perché non riesce più a sentirla…».


Oggi Luciano ha un’idea chiara su cosa sia il Covid-19 e sulla sua pericolosità: «Bisogna fare estrema attenzione – ribadisce – perché può essere quasi innocuo se si sta bene, ma appena trova un punto debole nel nostro organismo il virus lo aggredisce. Tante persone sono asintomatiche, è vero, ma credo sia sufficiente avere difese immunitarie abbassate, per qualsiasi ragione, per essere seriamente a rischio. Non bisogna credere a chi minimizza».

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