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Ecco cosa significa morire soli in un reparto Covid

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BIELLA – Gentilissimo direttore, vorrei spiegare come si vede la situazione attuale, portata dall’emergenza Covid, dalla parte di chi non solo incontra defunti, ma soprattutto ascolta dai primi momenti del decesso la tristezza nelle parole dei familiari.

Perdere un proprio caro è sempre tragico e può segnare alle volte anche per sempre la nostra vita, vuoi perché ci ha lasciati improvvisamente, vuoi perché la sofferenza fisica è stata tanta, o vuoi semplicemente per un rapporto molto importante, basta pensare a legami fortissimi tra nipoti e nonni, anche più forti che tra madre e figlio.

Tornando alla questione Covid, purtroppo in questi mesi si è scoperto come possano i social trasformare muratori in virologi e segretarie in dottoresse di Rianimazione. Ormai tutti dicono la propria, portati sicuramente da una confusione in-primis dettata da interviste forvianti a dottori anche di fama internazionale, i quali in alcuni casi dichiarano tutto l’opposto dichiarato dal proprio collega, magari intervistato due ore prima.

Tralasciamo la solita risposta, quando a qualcuno chiedi che specializzazione ha in merito al discorso Covid. «Non ho nessuna specializzazione, semplicemente ho imparato ad informarmi», come se chiunque di noi da domani, magari tramite youtube, potesse, dopo ore ed ore passate a visionare operazioni chirurgiche definirsi un chirurgo e magari dopo anni a vedere filmati, autoproclamarsi primario.

Vero, la democrazia porta a tutto ed a leggere di tutto, ma perlomeno ,quando ci troviamo davanti ai reali fatti, sarebbe perlomeno necessaria una riflessione, in rispetto ai defunti, ai parenti dei defunti ma soprattutto agli operatori sanitari, che ricordiamo, nonostante tutto, sono i veri gladiatori.

Sorrido nel pensare a persone, anche conoscenti, che ipotizzano un complotto mondiale, portato dai grandi della piramide economica, quasi a voler far intendere che tutto questo è una farsa, peccato che poi, quando li inviti a parlare seriamente dell’iter che porta una persona deceduta con o per il Covid, ti rispondono attaccando la tua persona, o peggio come in alcuni casi la tua professione.

Vero, siamo in un mondo democratico, ma quando ascolti persone che dicono di voler entrare nei reparti Covid senza mascherina, è ovvio che qualcosa non è stato recepito. Comprensibile, ma le persone dovrebbero pensare a non essere rivoluzionari contro il virus, spesso negandone l’esistenza, ed ancor più spesso senza una benché minima cultura non dico medica, ma anche solo infermieristica.

Qualcuno addirittura l’ho letto affermare di essere comunque un esperto di virus, solo perché ha partecipato al corso in materia di tutela sul luogo di lavoro indetto dall’azienda che lo ha assunto.

Possiamo stare qui a strapparci i capelli (per chi li ha…) per giorni, ma la verità cade sempre su di un fattore importante: quanti conoscono come realmente l’iter di chi dal momento del ricovero in un reparto Covid, al momento del decesso? Beh, presuntuosamente, posso rispondere: dei leoni da tastiera nessuno; di chi ha perso una persona per questa circostanza tutti.

La tragedia del lutto è sempre purtroppo unica, ma morire in piena solitudine è straziante, ho avuto in questi mesi famiglie che hanno visto il proprio caro l’ultima volta esattamente quando l’ambulanza lo ha prelevato da casa, magari tre settimane prima, senza aver mai avuto la possibilità, non solo di non visitarlo, ma addirittura anche di non sentirlo più al telefono perché in terapia intensiva.

La risposta classica è: “Sicuramente aveva altre patologie”. Certo, vero è che molti avevano purtroppo patologie pregeresse gravi a tal punto da renderli deboli nella lotta al virus, ma è pur vero che, come mi ha risposto una nipotina affezionatissima alla nonna, “Se il virus non l’avesse colpita, avrebbe vissuto con me ancora tanto tempo”.

Sì direttore, oguno di noi può parlare di autopsie non fatte, patologie pregresse, ma al finale, se muori in un reparto Covid, muori solo. E non avere neanche la possibilità di salutare in maniera dignitosa un proprio caro, prima che avvenga la chiusura della bara, è un dolore che molti si porteranno dietro tutta la vita.

La lotta, concludendo, non è contro il virus, ma deve essere portata avanti per i diritti che ognuna delle persone che non viene assistita dallo Stato non riceve adeguatamente, deve essere fatta per chi ha patologie tumorali e non viene curato, solo perché una classe politica senza scrupoli non ha fatto altro che tagliare fondi nel settore di cui purtroppo prima o poi tutti noi dovremo usufruirne.

Vorrei davvero concludere con un bellissimo scritto trovato in rete, dal quale tutti noi potremmo trarre insegnamento.

«Grandiosi mentre stanno bene… Piccoli e coccodrilli nel bisogno…. La Cultura del “a me non tocca”. La stessa dei selfie sui binari. Louis XIV perse con reale dignità figli, nipoti, amanti e mogli per il vaiolo ed il morbillo e tentò di salvare gente cambiando castelli allo scoppio delle epidemie. Non osava sfidarle ed era Luigi il grande”.
Gianluca Marucchi

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