Attualità
Convegno Ucid a Biella sui valori dello scoutismo
Il tema era il modello formativo dello scoutismo, declinato sia in termini educativi sia formativi, nelle professioni e nella vita
«Siamo rimaste una delle poche associazioni che non si vergogna di avere dei capi» ha detto Piero Gavinelli, capo scout nazionale dell’Agesci, sabato, nel convegno organizzato in Seminario dall’Ucid.
Convegno Ucid sullo scoutismo. Il capo scout nazionale: “Capo è colui che si mette al servizio, non chi dà solo ordini”
«Per noi, però, il capo è colui che serve, che si mette al servizio del gruppo e della comunità – ha spiegato ancora -. Non chi dà solo ordini, ma chi si impegna per primo e di più, certo caricandosi il peso di fare delle scelte. Nella nostra associazione ci si assume questa responsabilità, che rappresenta la grande strada dello scoutismo che vuole essere un accompagnamento alla vita. Gli scout non vogliono cambiare il mondo, vogliono aiutare ed educare i giovani e gli adulti che diventeranno a costruire un mondo migliore».
E’ stata una mattinata ricca di contenuti e di testimonianze quella organizzata dall’Unione cristiana imprenditori e dirigenti del presidente Vittorio Donati, padrone di casa e organizzazione dell’evento.
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Il tema: il modello formativo dello scoutismo
Il tema era il modello formativo dello scoutismo, declinato sia in termini educativi sia formativi, nelle professioni e nella vita. Ecco il perché tra i relatori erano presenti anche figure come la preside del “Bona” Raffaella Miori, che ha raccontato il suo passato un po’ casuale di “lupetto” a Torino oltre a spiegare che: «I valori scoutistici sono ben presenti nel mio lavoro di dirigente. Quando un collega insegnante mi porta un ragazzo in presidenza, perché ha combinato qualche pasticcio, mi chiedo… Come faccio ad aiutarlo? E allora penso alla promessa scout che invita a dare sempre del proprio meglio. Quindi a scuola e in classe ripenso a questo insegnamento e mi dico che il mio obiettivo consiste nel aiutare i ragazzi, ognuno diverso dall’altro, a tirare fuori il proprio meglio. Se la scuola ci riesce, il resto viene da solo».
Roberta Bacchi: “L’attenzione verso gli ultimi arrivati nel ‘branco’ è un dovere del gruppo”
«Nei gruppi scout c’è la figura del “piede tenero”, l’ultimo arrivato nel “branco” – ha invece spiegato e raccontato Roberta Bacchi, educatrice professionista con una lunga militanza con lo zaino in spalle -. Ha meno esperienza, meno capacità. Eppure è dovere del gruppo dargli un ruolo, per fargli maturare autostima. Ho conservato questo insegnamento anche nel mio lavoro, in cui coordino e collaboro con decine e decine di figure professionali. E sempre mi do l’imperativo di responsabilizzare tutti, anche il meno dotato, il meno competente. Solo così un gruppo può lavorare per il bene comune».
Donati: “La capacità d’ascolto è fondamentale”
«Capacità d’ascolto. Lo dico da medico e da docente universitario – ha invece detto Simone Donati, ex scout -. E’ fondamentale in entrambi i ruoli e l’ho imparata nei campi, nei raduni e negli incontri con gli scout. E’ stata un’esperienza importante, che mi ha trasmesso valori umani preziosi».
“Gli scout non sono solo quelli che vanno nei boschi con i pantaloni corti”
Applauditi anche gli interventi di padre Giovanni Gallo, Francesco Brusasca e Mario Simone, decani dell’Agesci biellese, punti di riferimento per generazioni di giovani e meno giovani, che hanno raccontato come gli scout non siano solo quelli «che vanno nei boschi con i pantaloni corti».
Foglio Bonda: “Entrato in questo mondo grazie a mio padre, che fu tra i primi a Biella dopo il fascismo”
«In politica ho portato l’impegno di non vedere mai, nell’altro, un nemico. E di cercare, sempre, nell’altro, il meglio – ha detto invece Andrea Foglio Bonda, consigliere comunale a Biella -. Insegnamenti che arrivano dal mondo scout, nel quale mi sono formato. In tanti anni ho imparato a credere nel dialogo e a mettermi in discussione. Ero entrato in questo mondo grazie a mio padre, che fu tra i primi a Biella dopo la guerra e il fascismo. Ho recuperato delle lettere bellissime di mio padre che da Parigi scriveva a mia madre, raccontano di esperienza di comunità e di amicizia con persone di tutto il mondo. E così sono entrato anche io in questa grande famiglia, dove poi sono entrati i miei figli».
Paolo La Bua
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