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Gridare al lupo con ostinata ossessione risulta fuori scala

BIELLA – Chissà quante generazioni hanno vissuto un’infanzia di tremore, indotto, si spera in buona fede, da genitori prodighi di favole cruente e un filo antropofaghe. Il lupo cattivo era lo spauracchio buono per tenerci buoni, di quando parteggiavamo senza indugio per Cappuccetto Rosso (diremmo ora Cappuccetta Rossa?) che ci sembrava un nome proprio più che un abbigliamento stravagante. Probabilmente dimentichi, i genitori, delle allusioni sessuali della fiaba primigenia, che mischiava l’ingenuità dell’adolescenza con l’astuzia del predatore da cui metterla in guardia.
In ogni caso, il lupo era cattivo e spesso mannaro, e lo è stato per lungo tempo. Poi, finalmente, abbiamo piano piano preso confidenza con la bestia per umanizzarla come potevamo, col sorriso tra le labbra. Dopo secoli di lupi mannari, che sopravvivono ancora nelle gesta di quelli americani a Londra di John Landis o del Wolfman nella sembianza di Benicio Del Toro, gli abbiamo reso giustizia pensando a un lupo portatore di sentimento e sorriso, che non fosse il ghigno di quello allettato al posto della nonnina.
Il genio di Boris Vian racconta, nell’immediato secondo dopoguerra, di un lupo mannaro sì, ma vegetariano e pure gentiluomo. Di lui dovevano aver paura più gli appassionati d’orticoltura piuttosto che i tenutari di greggi in alpeggio. Poi viene a memoria Lupo De’ Lupis, il lupo tanto buonino dei cartoni di Hanna e Barbera, vittima del secolare pregiudizio che ne infanga la specie. Per i fedelissimi di Disney, l’imbarazzante e maldestro Ezechiele, animale antropomorfizzato all’eccesso il cui istinto predatorio era bilanciato dall’estrema gentilezza del figlio Lupetto, addirittura buon amico dei tre porcellini. E come dimenticare l’indimenticabile Lupo Alberto di Silver, lupo di campagna fidanzato a una gallina e in fondo amico di un’intera fattoria, Enrico la Talpa compreso.
I lupi sanno essere simpatici e pure buoni, senza rinnegare mai la propria origine, e dipende sempre dall’attitudine e dal contesto. Sono queste le fiabe che preferisco. C’è invece chi non cede a questa narrazione e rivendica la favola del lupo cattivo che mangia i nostri bambini. In potenza, chiaro. Mica è mai successo, almeno da oltre un secolo in qua. Ma è comunque questo il racconto che ne fa, spammando social e giornali locali per allarmarci del fatto che il lupo biellese esiste e bussa alle nostre porte digrignando i denti.
Sembra una favola distopica, ma non lo è. E tra un inciampo sintattico e l’altro, documenta le argomentazioni fototrappolando immagini confuse per confonderci. Comprensibile che sia votato alla causa, nella sua costante rivendicazione di un paio di presidenze venatorie e quindi un filo interessate a una narrazione piuttosto che l’altra. Dirci però che dopo aver, presuntivamente, divorato una pecora nella campagna tra Mongrando e Camburzano, il lupo possa passare ai nostri bimbi appare paradossale. Anche ridicolo nei toni e nei modi, rivendicatori di un prossimo e futuribile “io l’avevo detto”. Spargere timore nei confronti di una specie protetta affinché lo sia un po’ meno, magari garantendosi così qualche abbattimento in futuro, sembra l’intento inconfessato.
Comprendo la sua avversione, e in parte addirittura la condivido, a un animalismo romantico che, fuori dalla narrazione letteraria, immagina di fare di un predatore un animale tanto buonino. Resta il fatto che il lupo è un predatore che da tempo immemore convive, malamente a quanto pare, con l’uomo: che prima lo stermina per antropizzare il suo mondo e poi lo protegge dall’estinzione. Non ci sono dubbi sul fatto che il lupo sia un predatore, e la catena alimentare ha il suo bel perché, ma in generale non attacca l’uomo. Lo scopo primario del lupo è sopravvivere, e dobbiamo metterlo in condizioni di farlo cacciando prede selvatiche e non quelle domestiche, al quale ricorre se i morsi della fame si fanno più insistenti del solito o se la preda è in “bella vista”.
Non c’è nemmeno dubbio sul fatto che tra l’uomo e il lupo l’essere pensante sia l’uomo. E per questo debba provvedere alla forma di convivenza più accettabile, tutelando la parte più debole: quella non pensante. Predisponendo, per esempio, un piano regionale di prevenzione come si deve, che tuteli gli allevatori permettendo ai lupi la sussistenza nel loro habitat, senza che questi scendano fino in spiaggia per divorare i bagnanti.
Il Life Wolfalps Eu è il progetto transfrontaliero che sembra, per ora, lo strumento più valido per monitorare la presenza del lupo sui territori e agire di conseguenza sulla base di dati affidabili e metodi di prevenzione e affiancamento degli allevatori che patiscono le sue naturali incursioni. Finora l’ultimo monitoraggio disponibile di questo progetto ha rilevato un solo branco in Valsessera, sopravvissuto senza mangiare i bambini come nelle favole.
Il nuovo monitoraggio scientifico, che si concluderà a maggio con la messa a disposizione di dati aggiornati, è in corso e pare, ancora ufficiosamente, che siano stati individuati anche una coppia sulla Serra e un branco di quattro lupi a cavallo tra Valle Elvo e Valle Cervo. Gridare al lupo con ostinata ossessione risulta quindi parecchio fuori scala. In ogni caso incutere paura non serve a nessuno. Del resto, anche Lucio Dalla cantava: “Attenti al lupo”, ma il coro rispondeva: “Living together”.
Lele Ghisio
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