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Caritas: «La nostra paura è per il dopo Covid quando inizieranno i licenziamenti e gli sfratti»

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Nei giorni scorsi la Caritas diocesana di Torino ha lanciato un grido d’allarme in merito alle conseguenze sociali causate dalla pandemia (“C’è il rischio che la frustrazione e il senso di abbandono dei più bisognosi si trasformi in rabbia”) sottolineando le difficoltà che il mondo del volontariato sta affrontando per far fronte all’emergenza. Com’è la situazione a Biella? Lo abbiamo chiesto al responsabile della Caritas diocesana Stefano Zucchi.

Ho letto le dichiarazioni che evidenziano, giustamente, la gravità della crisi. C’è da dire che le problematiche di Torino e in generale di tutte le grandi città, sono certamente più gravi di quelli riscontrabili negli altri capoluoghi di provincia così come mi è stato confermato dai responsabili delle altre province piemontesi e anche di Aosta, con i quali manteniamo uno stretto collegamento. Questo non significa, ovviamente, minimizzare i problemi che ci sono.

Allora parliamo della situazione locale.

Al momento riusciamo a far fronte all’emergenza pur con le difficoltà del caso, quello che invece ci preoccupa, e anche tanto, è quanto accadrà nei prossimi mesi.

Vale a dire?

Fino ad oggi le misure prese a livello nazionale hanno dimostrato una certa efficacia a partire dal reddito di cittadinanza che con tutte le storture che conosciamo sta fornendo comunque un aiuto a tante persone in effettiva difficoltà economica, a gente che è veramente povera. Così come hanno avuto risultati positivi il massiccio ricorso alla cassa integrazione e la proroga del blocco dei licenziamenti e degli sfratti. Fino a qui tutto bene, ma dopo? Quando le aziende, in evidenti difficoltà a causa della pandemia, procederanno alla riduzione del personale la situazione si aggraverà notevolmente. Lo stesso discorso ovviamente vale per gli sfratti.
La mensa di via Novara è diventata negli anni un punto di riferimento per molte persone in difficoltà. Siete sempre operativi?

Assolutamente sì, non ci siamo mai fermati, modellando il servizio a seconda dei momenti. La mensa è ad oggi aperta a mezzogiorno con una capienza massima di 32 posti mentre forniamo un pasto da asporto per le persone in aggiunta a questo numero e continua la fornitura pasti anche per alcune nostre strutture di accoglienza per la sera. Ovviamente nel pieno rispetto di tutte le misure indicate dalle autorità sanitarie. Così come continua in collaborazione con le altre associazioni di volontariato la gestione del dormitorio pubblico e per altri progetti di sostegno alle famiglie in difficoltà.

Dal suo punto di vista quali sono state le categorie professionali più colpite?

Certamente le badanti che praticamente non lavorano più con regolarità dallo scorso marzo. Appena è iniziata la crisi sanitaria, contraddistinta inizialmente da un elevato numero di vittime tra gli anziani, alcune famiglie sono state costrette a rinunciare al loro apporto o a chiedere loro per sicurezza una vita comune di “clausura”. Da qual momento molte di queste lavoratrici, sono rimaste senza reddito o “blindate” in casa. Un’altra categoria particolarmente colpita è stata quello dello spettacolo, in particolare i giostrai, anche loro inattivi da mesi. Più in generale sono quelle persone a basso reddito, con lavori precari da sempre, che già prima arrivavano a fine mese con difficoltà arrotondando lo stipendio con lavoretti extra: penso ad esempio al muratore o all’imbianchino a cui molti si rivolgevano per l’effettuazione di piccoli lavori in casa. Tutte queste entrate economiche che per molti rappresentavano la salvezza sono ora venute meno. Ultimamente tra i cosiddetti “nuovi poveri” fa capolino anche qualche commerciante, altro settore tra i più colpiti. Le difficoltà non sono comunque solo economiche.

Vale a dire?

Pensiamo agli anziani che nel nostro Biellese: sono tantissimi tanto che la nostra provincia è tra le più “anziane” di tutta Italia. Dallo scorso mese di marzo ci sono migliaia di persone blindate in casa, sole, che non hanno più una vita sociale, non incontrano più amici e conoscenti, costrette persino a centellinare le visite dei famigliari per paura del contagio. Non c’è nulla da dire, tutto questo viene fatto, giustamente, per la loro sicurezza, ma indubbiamente tutto questo sulle persone fragili ha un aspetto psicologico molto pesante. Accanto a loro penso a chi ha problemi di salute mentale, alle famiglie con ragazzi con disabilità. Proprio per questo, per far sentire le persone, non solo anziane, meno sole come Caritas diocesana abbiamo mantenuto l’attività dei 12 centri d’ascolto nelle diverse zone, oltre a quello diocesano gestito dai Gruppo di Volontariato Vincenziano a cui ci si può rivolgere, anche solo telefonicamente, anche per uscire dalla solitudine. E a proposito di povertà e salute, ritornando invece alla questione economica, negli ultimi tempi è aumentato il numero delle persone che hanno difficoltà a far fronte dell’acquisto di medicinali perché troppo cari. Su questo tema ci siamo già attivati con il progetto “Fra Galdino salute”, mentre anche per il futuro stiamo pensando a nuovi progetti. Di fonte alla fatica di tanti occorre rilanciare e aumentare ancora la solidarietà e il lavoro comune sul territorio delle diverse realtà di bene che fortunatamente operano con passione e dedizione.

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