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Biella

La meravigliosa storia del Teatro Bertola di Biella

Sorgeva vicino ai giardini Zumaglini appena nati

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Nel 1886 il nostro giardino pubblico (solo dal 1935 intitolato a Maurizio Zumaglini) aveva appena dieci anni e l’area sembrava ancora senza senso: alberi esotici in un pezzo di campagna non più campagna o in un pezzo di città non ancora città; spazio da attraversare, per raggiungere la stazione di via Lamarmora, vandalizzato, saccheggiato, lasciato in balia di ragazzacci a caccia di nidiate. Insomma, a trenta anni dalla fondazione della stazione, il bel sogno di una (vera) piazza si stava spegnendo, senza che qualcuno sapesse dire che cosa fosse una (vera) piazza e perché la città mancasse di una (vera) piazza. Il grande giardino, che Innocente Ottolini di Novara aveva piantato nel 1876, da marzo a maggio, non era riuscito a colmare il vuoto: una storia appena nata sembrava già finita. All’improvviso, però, soffiò il vento del rinnovamento.

Il 29 aprile 1886 “L’Eco dell’Industria” annunciò l’inaugurazione del nuovo Politeama Bertola a Porta Torino. Eusebio Bertola, magazziniere e spedizioniere, proprietario del palazzo con portici che ancor oggi è parallelo al viale orientale dei giardini, apriva un teatro popolare, collocato in ampio cortile con tettoia, all’interno del medesimo palazzo. Scriveva il giornale: “Il locale nulla lascia a desiderare sia per il palcoscenico che per la distribuzione degli scompartimenti destinati al pubblico. Da lungo tempo si desiderava nella città un teatro che con spese moderate potesse dar agio alle piccole compagnie teatrali di poterlo calcare, essendo innegabile che nel Teatro Sociale le spese serali sono troppo onerose, specialmente per le compagnie che recitano in vernacolo”.

Iniziava così una storia meravigliosa, durata una manciata di anni (1886-1891), ma intensi. Nel 1896 l’esperimento del teatro popolare continuerà in piazza della Funicolare (Politeama Piemontese, poi Biellese).
Fin dal 1886, anno dell’inaugurazione, alcune compagnie di prosa e canto trasportarono le tende dal Teatro Sociale al Politeama Bertola (detto anche di Porta Torino), anche perché al Sociale il pubblico era scarso e freddino. Così fece il 9 ottobre 1887 la “Compagnia Serandrei e Rosi” per una serie di rappresentazioni con la maschera di Stenterello, così amata dal pubblico del Politeama Bertola. Scriveva “L’Eco dell’Industria” il 3 novembre del medesimo anno: “La maschera dello Stenterello attrae sempre più applausi e chiamate al proscenio. A dir il vero, se lo merita con le sue spiritosità che fanno proprio ridere a crepapelle”.

Nel 1888 gli spettacoli andarono ben oltre la dimensione vernacolare, aggiornandosi alle più recenti produzioni tardo romantiche e veriste e, nel contempo, toccando i classici, sempre navigando sulle onde del sentimento. Il pubblico continuò ad accorrere numeroso. Scriveva “L’Eco dell’Industria” il 15 aprile 1888: “Ieri sera abbiamo avuto il grandioso componimento Giulietta e Romeo, tragedia dell’inglese Shakespeare. Stasera va in scena il dramma storico Il povero Fornaretto di Venezia. Per lunedì, martedì e mercoledì avremo la grandiosa trilogia drammatica di Alessandro Dumas, Il conte di Montecristo, per la quale si fa un abbonamento speciale per tre sere. Come si vede, massimo è l’impegno della brava Compagnia; già lo dicemmo e ci è caro ripeterlo. Coraggio adunque: il teatro diverte, istruisce, ingentilisce e commuove. Accorriamo numerosi al Politeama Bertola”.

Al pubblico non importava l’ingresso poco appariscente (non so in quale punto di palazzo Bertola, ma un cronista dell’epoca scriveva inviperito che, per accedere al teatro, egli passò attraverso il modesto vestibolo, dove si inzaccherò fino alle ginocchia, picchiò col gomito in un carro e battè col muso in un collo di lana). Non importavano gli spifferi dalle finestre senza vetri. Non importava, nella bella stagione, il concerto assordante delle raganelle. Il teatro popolare era un arcobaleno che tingeva di umanità tutta l’area.
Intanto sorgevano le prime birrerie e sale da ballo nel piazzale di Porta Torino: dallo sbocco di via Umberto (oggi via Italia) lungo i portici fino all’incrocio con via Lamarmora fioriva la Belle époque biellese, sia pur distante dal centro della città. E il grande giardino, accanto al teatro, cominciava ad essere sentito come il cuore nuovo di Biella, perché “laggiù, al popolare teatro di Porta Torino” si ride, si piange, si grida, si applaude.

“Laggiù al popolare teatro di Porta Torino è irresistibile l’effetto delle trame in famiglia, del veleno, della tigre, del carcere, del patibolo e che sappiamo noi, come anche è assicurato il successo di certe pose, di certe declamazioni superlativamente terribili o sdolcinate” scriveva “L’Eco dell’Industria” il 23 giugno 1889.
Anche il severo critico, pur perplesso di fronte a certe pose e a certe declamazioni, rimaneva stordito per la partecipazione e l’entusiasmo della gente, come accadde mercoledì 18 giugno 1889: “Il brutto tempo tentò anche mercoledì scorso di guastare con il solito temporale lo spettacolo al politeama; ma i suoi furono sforzi inutili, poiché numeroso pubblico vi accorse egualmente a festeggiare la prima attrice della ‘Compagnia Gustavo Modena’, signorina Adelaide De Ogna”.

Quella sera, fu rappresentato il dramma Beatrice Cenci, vittima del Tribunale dell’Inquisizione Romana, dramma storico in cinque atti, tolto dal romanzo del Guerrazzi. Il pubblico del Politeama Bertola, sempre ardente, pianse per la sorte della nobile Beatrice Cenci, accusata di aver ucciso col veleno il padre violentatore e decapitata nell’anno 1599. Anche il severo critico dovette riconoscere “che la signorina De Ogna è pure una brava artista, che sa spesso giustamente farsi applaudire” (lo immaginiamo voltarsi per non dare nell’occhio e, con penna e taccuino ancora in mano, togliersi gli occhiali e sfilarsi di tasca un fazzoletto).

Lo spettacolo ebbe quella sera una coda inaspettata: la De Ogna salì nuovamente sul palco per congedarsi dal pubblico con il monologo In barba all’autore, scritto appositamente per lei. Il severo critico dell’Eco dell’Industria fu definitivamente convertito al teatro popolare, avvinto anche lui dal “brillantissimo monologo” con cui la De Ogna, accomiatandosi, recitò l’una dopo l’altra diverse parti: “Essa rappresentò assai bene la giovane amorosa, tutta grazia, tutta dolcezza; la prima attrice, imponente, altera; la seconda donna civettuola, compromettente; la caratterista vecchia, grinzosa, piena d’acciacchi e, allorché in queste diverse parti rispettivamente diede al pubblico l’arrivederci, il vale, l’addio, la buona sera e, come artista, un cordiale saluto, il pubblico, che già prima le aveva offerto fiori e nastri, le tributò un’ovazione”.
È da credere che anche le raganelle, che vivevano in copiosa colonia nella zona di Porta Torino, ricca di deflussi e scoli di acque, si siano unite coralmente al tributo, alzando il diapason del loro gracidio.

Gianfranco Ribaldone

(continua su La Provincia di Biella.it sabato 17 giugno)

L’immagine in evidenza è una cartolina inviata la vigilia di Natale dell’anno 1902. Nel campo destro della foto sono visibili i portici che ancor oggi (sia pur con modifiche e ricostruzioni) scendono verso l’incrocio con via Lamarmora. Da un punto del caseggiato si accedeva, tra il 1886 e il 1891, all’area interna dove sorgeva il Teatro (o Politeama) Bertola

(collezione Gianfranco Ribaldone)

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1 Commento

1 Commento

  1. Anna Lesca

    16 Giugno 2023 at 12:45

    Bellissimo articolo, come tutti i precedenti.Interessante e utile anche per le nuove generazioni, che poco o nulla sanno degli spazi storici della nostra città che frequentano. Continuate così.

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