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Biella

Condannati gli aguzzini di José Baravalle e Graciela Porta

A distanza di quasi quindici anni dal suicidio di José Baravalle, arriva la sentenza contro i carnefici suoi e di sua moglie, Graciela Porta.

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A distanza di quasi quindici anni dal suicidio di José Baravalle (nella foto), arriva la sentenza contro gli aguzzini suoi e di sua moglie, Graciela Porta. Una sentenza che non può riportarlo in vita, ma che riabilita la memoria di una vittima della dittatura argentina che viveva nel Biellese.

Come reso noto ai biellesi da Daniele Gamba, ieri il Tribunale federale n. 2 di Rosario, Argentina, ha condannato i repressori Mario Marcote e Julio Fermoselle, ex agenti del Servizio Informazioni della Polizia Provinciale, rispettivamente a 17 anni e a 14 anni e sei mesi di reclusione per i reati di sequestro di persona, violenze e minacce contro gli oppositori politici José Baravalle, Graciela Porta, Ricardo Chomicki e Nilda Folch. Per quanto riguarda la Folch, anche per il reato di stupro.

“I giudici Jorge Sebastián Gallino, Cintia Graciela Gómez e Mateo Busaniche – si legge in una nota dell’Agenzia EFE riportata da Swissinfo.ch – hanno ritenuto penalmente responsabili entrambi gli ex agenti di polizia per i reati di privazione illegale della libertà, oltre al reato di tortura nel caso di Marcote, a danno di Nilda Virginia Folch, José Baravalle, Ricardo Miguel Chomicki e Graciela Porta”.

Secondo l’accusa, Baravalle fu imprigionato il 28 giugno 1976 e trattenuto fino all’ottobre 1977 “per la sua condizione di militante della gioventù peronista”. La stessa sorte toccò a Graciela a partire dal 23 febbraio del 1977.

Dopo le persecuzioni e le torture, la coppia si rifugiò in Italia e nel Biellese. Nel 2008, l’incredibile epilogo: vennero accusato di aver collaborato con i loro aguzzini fascisti, fornendo informazioni nei mesi in cui erano privati della libertà. Un colpo troppo duro per Baravalle, che non resse e si tolse la vita.

La sentenza fa luce anche su questo punto: “Il processo è riuscito a dimostrare che queste persone erano soggette ‘al controllo totale e discrezionale dei loro rapitori’ – si legge ancora nell’articolo riportato da SwissInfo -. In questo senso, i pm hanno evidenziato la natura ‘spersonalizzante’ dell’apparato repressivo instaurato nella dittatura e hanno ricordato le parole di Baravalle nella nota che scrisse prima del suicidio nel 2008: “È tremendo passare dall’essere vittima a carnefice (…) La mia unica colpa è che non ho saputo resistere alla tortura. Qual è il limite umano? Chiedo scusa a tutti gli amici e la famiglia”.

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