Biella
Il futuro che ancora non sappiamo essere
Gli Sbiellati: una rubrica per tentare di guardarci allo specchio, e non piacerci
BIELLA – Capita spesso di dover fare i conti, anche a chi è sprovvisto di titoli nobiliari. Capita di farlo con sé stessi e con gli altri, a scuola e sul lavoro. Nei casi più introspettivi si tratta in genere di bilanci, che non quadrano quasi mai dal momento che ci mettiamo a farli riconoscendovi un problema a priori.
A scuola e sul lavoro invece capita che i conti non tornino, e tocca rifarli oppure dedicarsi ad altre imprese.
Invecchiando si moltiplicano (!) le occasioni di far di conto con quello che ci circonda, perché la memoria custodisce i numeri dell’esperienza personale di ognuno, che a sua volta ne permette la comparazione e qualche privata valutazione. Buona l’ultima. Nel senso che così, senza un particolare motivo e senza attendere la periodica nota d’agenzia che li riporta e quindi ritenermi di essere in dovere di esprimermi col piglio a mezzo tra la noia e la solita indignazione che la genera, m’è capitato di fantasticare sui dati demografici della nostra città e di una decrescita che fa provincia.
Nei numeri il declino è evidente, perché, in questo caso, l’assunto “pochi ma buoni” non funziona mica. Ed è un declino percepibile, per chi ne ha appunto memoria, anche alla vista: fabbricati post-industriali che per darci un tono definiamo come archeologici; ospedali dismessi; un centro cittadino che ha perso la sua naturale effervescenza a favore di un innaturale aspetto distopico. E le persone. Quelle che mancano nel panorama del ricordo, dove sono? In generica dispersione, visto il naturale e scomposto scivolamento verso il Sud della città che con il centro commerciale si è ingoiato pure l’ospedale e il mercato, oppure in selettivo abbandono migratorio verso nuove opportunità in altri luoghi?
Di per sé lo spostamento a Sud non è un gran problema e nemmeno una grossa novità: da che è mondo le città si espandono nello spazio più accessibile che hanno intorno, salvo recuperare, e qui sarebbe il caso, quelli dismessi. Da un sommario sguardo ai dati Istat risulta che è ormai una ventina d’anni che il valore assoluto della popolazione residente è in caduta libera, così come il grafico delle nascite scivola costantemente verso il basso mentre queste vengono doppiate dai decessi. Il resto è gente che se ne va, costantemente.
La questione più rilevante, relativamente a questi dati, è che non sono una novità. Ogni anno ne prendiamo atto, scriviamo un paio d’articoli contriti, rifriggiamo la solita aria e poi restiamo in attesa dell’anno successivo per tornare a lamentarcene. Nel frattempo dispensiamo qua e là, con tediosa sicumera, dissennati consigli per “favorire la residenzialità”, di fronte ai quali un’équipe di cure palliative scoppierebbe a ridere.
L’impressione che ne ho ricavato è che mai, ma proprio mai, ci siamo veramente interrogati sul perché, dannati come siamo nel girone della superficialità. Ognuno, privato o soggetto istituzionale che sia, dispensa la sua insipida ricetta senza saper davvero cucinare. Eppure libri di ricette ce ne sarebbero parecchi, da cui trarre qualche ispirazione e aspirazione. Interrogarci sulla complessità delle cause, e delle colpe perché no, sarebbe il primo mattone utile per costruire la città del futuro.
Non esiste una causa e non esiste una soluzione: resiste la complessità che va affrontata con consapevolezza e non con questa sorta di rassegnazione. Invecchiamo tanto e male, allevando giovani da esportazione. Bearci dei fasti del passato non è certo utile a immaginare il futuro, e loro non ci cascano più quando pensiamo che basti qualche claim accattivante per essere attrattivi.
Siamo carenti di strutture e infrastrutture, di pensiero e di coraggio. Siamo prodighi di boria e inedia, incapaci di progettualità ed entusiasmo. Ci lasciamo vivere, e più spesso morire, immersi in un’autoreferenzialità imbarazzante, gelosi della nostra evidente mediocrità: politica, imprenditoriale, sociale. Un bagno di umiltà potrebbe forse tornarci utile: siamo un territorio da resettare e ricominciare da zero può essere la vera opportunità. Non ci sono facili soluzioni a problemi di questa dimensione, e nemmeno soluzioni vicine nel tempo. Necessitano calma e sangue freddo per imparare quel che ancora non sappiamo, perché il futuro è bello così e resta tutto da scrivere. Sempre che ne abbiamo davvero la voglia.
Lele Ghisio
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Paolo Castellin
19 Aprile 2022 at 22:36
Bla bla bla. Certo, ovvio, condivisibile,criticare non è difficile,soprattutto riguardo ai biellesi. Più interessante sarebbe che si proponesse qualcosa di veramente fattibile in funzione del lavoro. Solo creando posti di lavoro si potrà crescere ripopolando il biellese.