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Un biellese a Leopoli sotto i missili russi

La testimonianza del cooperante Edoardo Tagliani, in missione in Ucraina per la fondazione Avsi

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edoardo tagliani

«Oggi è già scattato l’allarme, ma per adesso non sono arrivati altri missili».

Ore 8 di martedì mattina, Leopoli. La giornata di Edoardo Tagliani, cooperante biellese in missione in Ucraina, è iniziata un po’ meglio rispetto a quella precedente.

Il risveglio di lunedì, infatti, era stato accompagnato da sirene ed esplosioni, colonna sonora della “vendetta” russa seguita al bombardamento del ponte della Crimea, una rappresaglia che ha colpito infrastrutture e obiettivi civili.

Edoardo Tagliani, un biellese tra coloro che provano a costruire normalità nell’Ucraina sotto attacco

Non è stata risparmiata nemmeno la “città del Leone”, a ovest del Paese, dove il 49enne biellese lavora per conto della fondazione Avsi, Ong italiana che da cinquant’anni si occupa di sviluppo e aiuto umanitario in tutto il mondo. Il loro compito? Provare a ricostruire un po’ di quella normalità che la guerra spazza via, distribuendo viveri e beni di prima necessità, ma non solo.

Sono 26 i progetti attualmente seguiti, messi a rischio dalla recrudescenza dei bombardamenti. Tra i più importanti e impegnativi, il programma relativo all’istruzione: «In parole povere – spiega Tagliani – andiamo ad analizzare gli edifici scolastici rimasti in piedi, per capire se e quali si possano riaprire a fronte di piccole risistemazioni».

Riaprire le scuole “sicure”, pensando a bunker e posti letto per le emergenze

Non si tratta soltanto di semplici valutazioni e interventi “architettonici”: «La vera difficoltà è comprendere quali scuole possano ripartire in relativa sicurezza in una situazione così volatile. Interveniamo su quelle che hanno subito meno danni e che consideriamo meno a rischio».

Bisogna provvedere alle necessità di alunni e studenti, che in guerra non si limitano al reperimento di libri e materiale scolastico: «Dobbiamo trovare il modo di garantire il riscaldamento, l’acqua, i viveri e l’allestimento di bunker e posti letto per ogni possibile evenienza. Dove non c’è un bunker, non si riapre».

«Si vive in una perenne situazione d’allarme»

Un altro fronte aperto del quale si occupa la missione di cui Tagliani fa parte è quello dell’assistenza psico-sociale, psicologica e psichiatrica per adulti e bambini, perché i danni provocati dalla guerra sono più profondi di quelli visibili: «Vivere in una perenne situazione d’allarme – sottolinea Tagliani – significa innanzitutto affrontare quotidianamente delle montagne russe di emozioni. Per capirci, anche quando queste persone esultano e brindano per un successo del loro esercito, i sorrisi dalle loro bocche spariscono dopo tre minuti, perché sanno che questo porterà a una risposta russa. Le giornate iniziano e finiscono nel segno dell’incertezza, dalle 6 a mezzanotte. Citando Ungaretti, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie».

Sopravvivere è difficile non solo “mentre il cannone lancia lampi nel cielo”, ma anche quando i missili tacciono e bisogna fare i conti con gli effetti collaterali del conflitto.

«L’assenza di elettricità d’inverno può essere anche più letale delle bombe»

«Il grande tema attuale – chiarisce Tagliani – è quello della winterization: la preparazione di tutto ciò che può aiutare ad affrontare le dure condizioni dell’inverno. Ad esempio ci occupiamo della distribuzione di qualunque cosa possa essere utile per scaldarsi, perché periodi prolungati di assenza dell’elettricità possono essere anche più letali delle bombe. Lunedì per fortuna c’erano 7-8 gradi, ma normalmente siamo già intorno ai 3-4 in questo periodo. E presto le temperature scenderanno anche fino a -20. Come in ogni guerra, dopo il triste conteggio dei morti, c’è quello delle persone a rischio per carenza di cibo, medicinali e riscaldamento».

Non ci si abitua mai: «Quando suona la sirena, la paura è sempre la stessa. Il tempo insegna solo a gestirla meglio»

In un contesto del genere sembra impossibile riuscire a mantenere il controllo, eppure a quanto pare si impara a conviverci: «Paradossalmente qui la gente è più calma di quanto non lo fossimo noi all’inizio della pandemia. Per forza di cose ci si ingegna e si trovano strategie per andare avanti. Non bisogna fraintendere: il suono della sirena spaventa sempre, come la prima volta. La differenza è che all’ennesimo allarme sai già cosa ti aspetta. Non smetti di avere paura, semplicemente impari a conoscerla e a gestirla meglio».

(Nella foto, uno dei bunker in cui ci si rifugia quando i russi attaccano)

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