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Sanità pubblica e medici in fuga

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Fermi tutti. Cerchiamo di riordinare almeno le idee, visto che a riordinare tutto il resto che concerne la sanità pubblica pare che non ce la si faccia. Ha ragione De Nuzzo, che dalle pagine di questo giornale, la scorsa settimana, rifletteva sul fatto che almeno tre indizi costituiscano una prova, quando le proteste nei confronti dell’Asl di Biella sono ormai una costante presenza sulle pagine dei giornali locali. Ha ragione anche quando invita a non “sparare” su medici e paramedici, ché le responsabilità s’hanno da cercare altrove.

Liste d’attesa eterne ed esami diagnostici o di medicina legale programmati fuori provincia sono le problematiche più diffuse che angustiano, per ovvie ragioni logistiche, chi ha problemi di salute e aggiunge a questo una “sofferenza” psicologica che non si merita. La riflessione ora verte sul fatto che se il problema esiste, ed esiste in questi termini e dimensioni, vale la pena di esaminare il contesto ed evitare i solipsismi che di solito caratterizzano questo tipo di protesta, tipo: ho un problema con l’Asl, scrivo ai giornali per sfogare la mia frustrazione.

Un atteggiamento, questo, che ha dato l’avvio alla pratica, sterile e patetica, del botta e risposta tra cittadini e Asl prodiga di verbosi comunicati stampa con cui ha la pretesa di giustificarsi. È un giochino che non funziona più, quello di elencare i motivi tecnici per cui non è in grado di soddisfare un legittimo diritto della cittadinanza. Anche perché risulta essere la dichiarazione di manifesta incapacità di assolvere al proprio ruolo quali che siano le motivazioni contingenti, che non riguardano certo gli utenti. Un buon ufficio stampa non risolve problemi sanitari e gestionali: a malapena addolcisce la pillola.

Da cittadini dobbiamo aver coscienza del fatto che metà della popolazione mondiale non ha nemmeno accesso alle cure, e noi, almeno fino a qualche tempo fa, potevamo vantare uno dei migliori sistemi sanitari. Non è tutto avvenuto per caso, così, come sempre, nulla è dovuto se non le conquiste sociali. A queste no, non siamo disposti a rinunciare. E, in questo ragionamento, siamo tutti coinvolti: cittadini e operatori sanitari di qualsiasi ordine e grado. Non fosse anche solo perché gli uni sono mantenuti dai contributi degli altri.

Nell’immediato secondo dopoguerra fu il rapporto Beveridge a farci riflettere sullo stato sociale e a come applicarlo a partire dalla stesura dell’articolo 32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. A questa dichiarazione d’intenti seguirono tre riforme del sistema sanitario, l’ultima nel 1999. Fu quella che, malauguratamente, aprì alla modifica del Titolo quinto della Costituzione (nel 2001), quello che delegò alle regioni la competenza sanitaria.

In realtà il disastro lo preparammo ben prima, se è vero, come lo è, che dal 1982, a livello nazionale, ogni anno abbiamo stanziato il 10% in meno della spesa sanitaria effettiva dell’anno precedente. Il deficit relativo non era nell’aria, ma sulla carta. Detto questo, c’è da allargare lo sguardo almeno a livello regionale, perché i medici non è vero che scappano da Biella: scappano e basta.

Un recentissimo report di Anaao Piemonte (sindacato dei medici e della dirigenza sanitaria rappresentativo a livello nazionale) indica l’Asl Biella al quinto posto, tra quelle delle province piemontesi, in quanto a percentuale di abbandono dei medici. Insomma, Biella non è penalizzata rispetto al resto: è il sistema che fa “pena”. In Piemonte, nel 2021, sono 331 i medici che hanno lasciato gli ospedali pubblici, e il trend è in crescita costante. E non è questione di soldi: cercano orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia. Cercano un sistema che valorizzi le loro competenze, un lavoro che permetta di dedicare più tempo ai pazienti. Vogliono poter avere una vita privata e non sacrificare la famiglia.

Il Covid, oltre ad aver svelato le criticità, s’era trasformato in opportunità grazie al Pnrr. In realtà, come sottolinea lo stesso sindacato, «la drammatica esperienza di aver gestito le ondate pandemiche senza poi assistere a un concreto investimento nella sanità pubblica, soverchiati da slogan da propaganda, ha definitivamente tolto ogni illusione di cambiamento.  Di fatto, il Pnrr si sta rivelando un’operazione edilizia e il rapporto spesa sanitaria/Pil scenderà sino al 6,2% nel 2025».

Quindi il problema è politico. Un problema che dovrebbe interessare, e con urgenza, la Conferenza dei sindaci e il sindaco di Biella in testa; così come i tre rappresentanti biellesi in Consiglio regionale. E invece, pare di no. Mi sa che non finisce qui, ne riparleremo.

Lele Ghisio

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