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Quando anche il Biellese brulicava di piccoli o medio-grandi posti in cui fare musica e incontrare un pubblico

Gli sbiellati, la rubrica di Lele Ghisio

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Fonzarelli di provincia

Memoria. A riportarne qui l’intera definizione che ne dà la Treccani mi giocherei tutto lo spazio disponibile. E, a dir la verità, non sarebbe neanche male, perché, paradossalmente, della memoria ce ne dimentichiamo spesso. Dimentichiamo quanto ci definisca nei contorni e nell’animo. Capita che ci abbandoniamo al ricordo languido di un amore passato e andato a male o svanito nell’aria; a quello inevitabile di un dolore che ci ha trafitto e ricorre a ricordarcene timore e sgomento; alla nostalgia di quando avevamo l’incosciente convinzione che il presente di allora fosse eterno e ci stavamo bene con quel tempo addosso.

Questo è il disegno che la memoria fa di noi, mentre ce la immaginiamo un po’ come ci pare per indossarla filtrata dal tempo che intanto è passato. Comunque è quello che siamo, declinati al presente, ma frutto di addizioni e sottrazioni ben suddivise in ciò che ci è capitato e in ciò che invece no, somma delle occasioni perse e della pratica quotidiana delle nostre personalissime sliding doors.

La memoria è una questione difficile da negare, tranne quando accade involontariamente in occasione di patologie o volontariamente in malafede e sino a prova contraria. Un ragionamento molto intimo, ma che si può – si deve – ribaltare socialmente: anche come comunità siamo il risultato della memoria collettiva, che non è esattamente somma di memorie. È una memoria che non sta chiusa nell’album fotografico di famiglia, ma riempie gli archivi pubblici d’ogni genere e quelli dei giornali locali, a volte preziosi custodi, e a volte meno, della cronaca che passa di qua e la mettono nero su bianco.

È un ragionamento che non mi è venuto per caso, perché sì la memoria può essere improvvisa, ma può anche essere accesa spingendo qualche interruttore. Il mio click è scattato proprio leggendo un articolo apparso sui giornali locali, che qualche mese fa riportavano, con giusta enfasi e soddisfazione, che l’headliner del Reload festival sarebbe stato Max Gazzè. Una notizia che ho apprezzato, così come apprezzo l’artista e il suo percorso musicale e autoriale. Solo che il lancio della notizia riportava che per lui sarebbe stata la prima apparizione nel Biellese. Difetti della memoria, ho pensato da dietro a un sorriso. O, meglio: la memoria che difetta.

Dopo una breve ricerca nei miei archivi personali e in quelli, online, dei giornali locali ho trovato la memoria che cercavo: Max Gazzè fu ospite del Fun Club di Mottalciata, live pub in voga nella seconda metà degli anni ’90 di cui curavo la direzione artistica, l’8 marzo del 1996. Quello che oggi è di moda dire con “mi si è sbloccato un ricordo”. Il locale, grazie al coraggio dei gestori, era entrato nel circuito nazionale dei piccoli club che invece di dispensare solo cover band locali azzardavano anche proposte originali di artisti emergenti.

Fu in quel contesto che Max Gazzè presentò il suo primo album “Contro un’onda del mare”, che già portava a spasso per l’Italia in apertura ai concerti di Franco Battiato. L’ingresso al concerto era libero e, tra quelli che c’erano, magari qualcuno se ne ricorda ancora. Oltre a rigirarmi tra le mani la scheda tecnica di quel concerto, ricordo che cenammo insieme lui, io e Max, un amico romano che allora collaborava con la sua agenzia, e, per uno di quegli strani effetti psichedelici della memoria, ricordo pure ciò che mangiammo. Ma non è il caso di parlarne, dai. A volte la memoria può essere selettiva in forme imbarazzanti.

Era un’epoca in cui la musica live viveva il suo momento più intenso, con una effervescente scena nazionale dalla quale sono poi scaturiti i fenomeni musicali degli anni a venire. Un’epoca in cui anche i territori di provincia brulicavano di piccoli o medio-grandi posti in cui fare musica e incontrare un pubblico. In zona ricordo buone proposte, oltre che dal Fun Club di Mottalciata, dal Dragon’s pub di Crevacuore, dai Cammelli di Candelo e dal Babylonia a Ponderano.

Insomma, la memoria non è nostalgia: è un luogo da cui passiamo per andare altrove, portandocene appresso un po’, che lo vogliamo o no. Se di qualcosa c’è da averne nostalgia, di quel periodo, è che quel circuito di locali (che fu anche codificato in un piccolo libro edito da Nuova Carish, “Guida ai locali rock”) dava modo, in un mondo ancora senza Youtube o Spotify, di far incontrare il pubblico con le nuove tendenze. Quelle che la discografia di allora, ancora così potente, definiva “una nicchia di un’inerzia irrilevante”. Ora, alcune di quelle case discografiche non esistono più, travolte come sono state dall’avvento di Internet e da una rivoluzionata distribuzione dei prodotti musicali. Restiamo noi e un altro concerto di Max Gazzè a Biella.

Lele Ghisio

 

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