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Luca Guzzo amante dei viaggi e della fotografia

È stato dirigente di Cna Biella, oggi con le immagini racconta le culture dei popoli

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Luca Guzzo amante dei viaggi e della fotografia. Quando lo incontriamo tiene in mano il suo primo libro, ma non è scrittore.

«Il testo segna la fine di un percorso con l’Associazione degli artigiani Cna Biella, in cui ho lavorato per 43 anni, gli ultimi 20 come direttore, e l’inizio di uno quasi nuovo – spiega -. Un percorso che riguarda la fotografia. Ho sempre scattato, ma ora ho più tempo da dedicare».

Luca Guzzo amante dei viaggi e della fotografia

Quale passione è nata prima: il viaggio o la fotografia?

Fortunatamente ho sempre viaggiato fin da piccolo. Papà è di origine calabrese, è la storia comune di molti immigrati, ed è arrivato in Piemonte nel 1957. I ritorni al suo paese natìo sono iniziati dopo la mia nascita, per le vacanze in agosto. Erano i primi anni Settanta. Ricordo gli spostamenti in treno di notte per andare al mare, quando quasi tutti i compagni delle elementari non andavano da nessuna parte, al massimo in montagna o al lago.

È stato l’incipit del mio essere affascinato dal viaggio. Papà aveva poi comprato una Citroën Dyane 6 e noi ci addormentavamo in macchina, non si arrivava mai. In seguito mi sono sposato, anche la moglie ama viaggiare, e abbiamo avuto figli».

Luca, quando hai realizzato che il viaggio ben si connette alla fotografia?

Papà, negli anni Settanta, aiutava lo storico fotografo Ivo Tresoldi di Ponzone, con le cerimonie, lo sviluppo e i primi filmini Super 8 millimetri. E portava a casa le macchine fotografiche. Mi regalò la mia prima attrezzatura, che usava il sistema Rollei, una Lubitel 2 economica, russa. Avevo 10-15 anni. Da lì sono nate le foto di viaggio delle vacanze. Portavo a casa le classiche foto cartolina. La svolta in cui ho capito che c’era anche un’altra fotografia è avvenuta quando ho incontrato il mio primo maestro, Antonio Canevarolo, negli anni Novanta all’Università popolare. Lui mi aveva preso in simpatia, ma era rimasto severo, discutevamo molto.

La foto è terribile, non viene da sola, va resa viva. La pellicola è piana, ha una sola dimensione, per animare lo scatto bisogna sapere come fare. Con l’immagine bisogna comunicare, raccontare. Ai tempi però l’impegno professionale era predominante. Davo tutto, ma ho anche ricevuto tanto, come la possibilità di fare vacanze in periodi non convenzionali. Ho così potuto fare viaggi particolari nel mondo e portare a casa le prime foto. Ho poi iniziato a raccoglierle nel libro, “Dieci anni di viaggi e fotografia”, con diversi cambi di lettura delle immagini».

Ci sono state altre svolte “fotografiche” nella tua vita?

«Nel 2018 ho assistito a Biella a una videoproiezione di Iago Corazza di Bologna, fotoreporter e antropologo, in cui raccontava la Romania con immagini della Pasqua ortodossa. Lì avevo visto quello che cercavo di fare, ma avevo sempre appena sfiorato. Complimentandomi con lui, avevo scoperto che potevo imparare. Sono andato, in compagnia di molti altri, sulle colline di Marzabotto, per un corso. Sono stati giorni epici. Ho imparato a fotografare con una finalità, cercando il soggetto adatto, ben illuminato, con lo sfondo giusto, e a ragionare in maniera velocissima prima di scattare, vedendo già l’immagine. È tecnica.

È stato così che il viaggio è diventato momento di arricchimento personale. Per raccontare le diverse culture dei popoli di questo fantastico mondo, senza preconcetti, non soltanto per sentirsi in vacanza. Probabilmente è stato utile l’aver ascoltato per anni le storie, i problemi, degli artigiani, degli imprenditori. Anche l’essere giornalista pubblicista mi avrà aiutato.

Il terzo incontro importante è avvenuto con Fabrizio Lava, che mi ha dato l’opportunità di associarmi a “Stile Libero”, che organizza mostre a Palazzo Ferrero. Mi ha proposto alla “Neos”, associazione di fotografi e giornalisti di viaggio, con cui ho iniziato a pubblicare articoli. E infine anche il mio libro. Amo il lavoro di ricerca antropologica e culturale che c’è a monte e non voglio che le foto rimangano archiviate in un computer.
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