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Lorenzo Somaini, direttore Ser.d: «In isolamento più ansia, depressione e abuso di alcol»

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BIELLA – Le dipendenze da sostanze come il tabacco, l’alcol e le droghe, ma anche le dipendenze comportamentali (gioco d’azzardo, doping, cibo, internet e nuove tecnologie) sono importanti fattori di rischio per la persona e per la sanità pubblica, e lo diventano ancora di più in una situazione particolare come quella correlata alla pandemia da COVID-19, che ha previsto e prevede tutt’ora in forma limitata, periodi di chiusure e di forzata permanenza a casa.

A distanza di quasi un anno dall’inizio della pandemia, abbiamo chiesto al dottor Lorenzo Somaini, direttore del Ser.d di Biella, com’è stata gestita questa anomala situazione. «Le modalità con cui abbiamo affrontato quest’anno sono state in gran parte dettate dalle normative regionali; in particolare, per quanto riguarda i servizi territoriali, sono arrivate delle indicazioni relative alla gestione degli accessi e dei colloqui. I posti sono stati contingentati e abbiamo messo in atto tutte le misure di triage, ossia misurazione della temperatura e valutazione dei segni e dei sintomi nelle 24/48 ore precedenti l’accesso al servizio».


Quali procedure sono state messe in atto per agevolare questo processo?
«Innanzitutto è stato fondamentale l’operato degli infermieri, i quali sono stati impiegati all’accesso del Ser.d con una check list composta da una serie di domande, che venivano fatte per valutare le condizioni dei pazienti. In secondo luogo abbiamo ottenuto, grazie anche alla collaborazione della direzione aziendale, i Thermoscan, che permettono di misurare in maniera automatica la temperatura e obbligano tutti ad indossare la mascherina. Altrettanto utili sono stati anche gli igienizzatori a muro. Per ultimo, ma non di importanza, abbiamo fatto un lavoro di educazione al paziente per l’accesso».


Per quanto riguarda la conduzione delle attività, invece, con quali criteri avete operato?
«Per prima cosa ci tengo a dire con grande orgoglio e riconoscenza che nessuno dei colleghi del Ser.d è stato in smart working: tutti hanno preferito lavorare in presenza e, in linea con le direttive regionali, non abbiamo mai dovuto chiudere. Per quanto riguarda i criteri adottati, abbiamo creato delle priorità, dando precedenza alle situazioni più urgenti e cercando di monitorare costantemente le condizioni dei pazienti più gravi; mentre, per le persone già stabilizzate abbiamo dilazionato nel tempo i colloqui e gli accessi. Abbiamo abbinato a questa procedura anche l’utilizzo di device elettronici, che ci hanno permesso di intervallare i colloqui di viso con le videochiamate. Questi strumenti si sono rivelati particolarmente utili, in particolare, per interfacciarci con le comunità terapeutiche, le quali hanno dovuto chiudere l’accesso dall’esterno per il contenimento dell’epidemia; in questo modo così riusciti a mantenere regolari contatti sia con gli operatori delle comunità per l’andamento del programma, sia con i pazienti per i colloqui».


Credete che questo lavoro svolto mediante i tablet sia stato efficace?
«Rispetto al momento è stato efficacissimo, come metodologia ovviamente non può sostituire il lavoro in presenza, tuttavia, in alcune situazioni anomale come questa, può essere di grande ausilio al fine di portar avanti un’attività clinica. Diciamo che lo stiamo scoprendo come strumento adiuvante le attività e non sostitutivo».


Parlando invece di terapie farmacologiche, come avete gestito la situazione?
«Sostanzialmente i trattamenti farmacologici sono stati dilazionati, in particolare per i pazienti stabili ovviamente. Nonostante ciò, devo dire che non abbiamo notato grosse modificazioni nel comportamento, anche perché abbiamo fatto un bel lavoro per capire come agire con ciascuno dei nostri pazienti».


Immagino, però, che l’isolamento forzato abbia avuto delle conseguenze importanti sui pazienti…
«L’isolamento ha avuto sicuramente gravi conseguenze sulle situazioni non stabili poiché la nostra area dedicata alla riabilitazione, che comprende sia gli inserimenti in comunità terapeutiche che quelli in centri diurni e lavorativi, ha subito dei rallentamenti e molte attività sono state sospese; ciò ha portato ad un disagio non indifferente. Abbiamo, infatti, osservato un peggioramento dei sintomi, che si è tradotto in maggiore depressione e ansia, oltre che al ricorso ad alcol e altre sostanze a volte eccessivo».


Le attività del centro diurno sono state completamente sospese o siete riusciti a portarle avanti in altre modalità?
«Con il problema del Covid, le attività previste per il diurno sono state sospese; quindi i pazienti che quotidianamente o alcuni giorni della settimana si rivolgevano a questi centri sono dovuti rimanere a casa. Per evitare il disagio di questo isolamento, gli operatori del diurno hanno trasformato le attività in visite domiciliari, ossia interventi di supporto, in modo tale da mantenere un legame e non far sentire le persone sole. Questo nella prima fase, in cui eravamo un po’ tutti impreparati. La seconda fase è stata chiaramente diversa, un po’ perché c’è stato l’ausilio dei tamponi rapidi, un po’ perché si conoscevano di più le modalità di trasmissione e protezione. Ragion per cui, il centro diurno, in linea con quanto previsto dalle normative regionali, ha riaperto con la presenza di 5/6 persone al giorno e con il criterio della rotazione, in modo da permettere a tutti i pazienti un accesso proporzionale ai bisogni».


E in questo momento come state procedendo?
«Stiamo continuando a fare il monitoraggio della temperatura, la disinfezione delle mani e dei locali, e abbiamo ripreso quasi al 100% le attività in termini di frequenza. Possiamo pertanto dire di essere in una fase all’80% di normalità, forti anche del fatto che ad oggi siamo stati tutti vaccinati, quindi anche questo aspetto sta aiutando il recupero delle attività. Abbiamo sempre adottato tutte le precauzioni del caso, tant’è che nessun operatore di Biella e di Cossato si è infettato sul posto di lavoro. Ringrazio davvero di cuore i miei colleghi perché è stato fatto un eccellente lavoro: ciascuno ha collaborato nel migliore dei modi e questo ha fatto sì che ci fosse la giusta sinergia. Credo che questo sia stato l’aspetto più importante, il fattore determinante».

Sofia Parola

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