Attualità
L’opportunità già mancata
BIELLA – Non tutti i mali vengono per nuocere, e il Covid è un male che ha fatto male, che continua a fare male. A dire che ogni “crisi” è anche un’opportunità, si rischia di affogare nella banalità delle parole spese a caso, quelle dette per darsi un tono e tornare a farsi i fatti propri tronfi della propria saggezza d’accatto. Comunque è certo, che le crisi siano anche opportunità: a patto che la si sappia cogliere; a patto che ci sia l’intenzione di tendere al nuovo e non alla conservazione; a patto che non la si attenda, ma che la si vada anche a cercare.
La prima opportunità da cogliere è il coefficiente “molla”: quella che spinge a darsi da fare, di quando l’acqua arriva alla gola e si fatica a respirare.
Quasi che il sintomo clinico degli sventurati colpiti a morte da quest’epidemia sia divenuto anche sintomo sociale, di comunità piccole o grandi che faticano a respirare. Com’è che si dice? La necessità aguzza l’ingegno, giusto per far tesoro di luoghi comuni da rivalutare. Il problema è avercelo, l’ingegno. Il problema, ammesso che lo si abbia, è usarlo.
Concepito più sull’onda emotiva delle morti quotidiane e delle città deserte, a cui ci siamo maldestramente abituati, l’Europa ha messo sul piatto il più grande intervento economico dal secondo dopoguerra in qua. La stessa Europa, mica scevra di difetti, alla quale tiriamo la giacca quando serve e i pomodori maturi in eccesso nel resto dei casi di quotidiano opportunismo politico, facendone lo sfogatoio sociale d’ogni male. Pensare ora che il Recovery sia la soluzione perfetta è parecchio da ingenui. Ma ci proviamo lo stesso, non ho capito bene se da teneri illusi o giusto per tentare il colpaccio, tanto cosa c’è da perdere a presentare progetti che non lo sono. Perché è questo il punto: siamo un territorio, e parlo del Biellese, che, probabilmente, non sa progettare e non sa progettarsi.
Momenti storico-sociali come questo invocano progetti rigenerativi per la società, perché si prospettano radicali cambi di paradigma. Ragionare in termini di mantenimento dello status quo o di ripristino della precedente situazione è esercizio sterile e illusorio: il commercio non sarà più lo stesso, i consumi non saranno più gli stessi, la scuola non sarà più la stessa (per fortuna, forse), il mondo del lavoro non sarà più lo stesso. Gli stessi bisogni, con tutta probabilità, non saranno più gli stessi. Nemmeno le modalità di convivenza sociale, saranno più le stesse. Da tempo abbiamo abdicato alla progettazione del nostro futuro, di quello collettivo, allevando generazioni di figli buoni per carriere all’estero o comunque altrove.
Le emergenze sono tali perché impreviste e perché sono da risolvere immediatamente, prive come sono della possibilità di proroghe e deroghe con le quali ci siamo di molto abituati ad agire e poco a reagire. E il Recovery fund è un provvedimento d’emergenza con obiettivi specifici, non una legge finanziaria qualsiasi in cui infilare una varietà eterogenea e informe di desiderata. Per questo ci stiamo presentando all’appuntamento, e questo vale per ogni istituzione d’ogni ordine e grado, dopo aver rivoltato i cassetti dai progetti che vi dormivano, tanto erano considerati urgenti e fondamentali allo sviluppo del territorio. Magari truccandoli con le parole, nel maldestro tentativo di aggirare i parametri imposti a monte, quando l’unico parametro vero pare essere quello della cantierabilità, che solo una pratica corrente della progettazione può garantire. Ci ritroveremo così con una gettata di cemento in Valsessera per una diga dal costo persino difficile da immaginare, incapaci come siamo stati, nel tempo, di affogarla nelle sue stesse acque, sapientemente mosse dagli apparati lobbistici.
Spulciando ancora tra i file excel della lista della spesa locale ci troviamo stringhe di sogni privi persino di progetti di fattibilità: rattoppi infrastrutturali, trenini elettrici, spezzatini di buone azioni per la Conca di Oropa, città del cinema alle ex Pettinature. Nemmeno una traccia della visione d’insieme necessaria e con l’unica immediata cantierabilità di una diga. Grande opera buona per i sogni d’ogni governo che ambisce alle grandi opere per far dire di sé. E se non abbiamo nulla di cantierabile è proprio perché non sappiamo progettarci e non abbiamo saputo farlo quando era tempo e ora, come il pragmatico cinismo del nostrano viceministro dello sviluppo economico lascia ben intendere. Siamo biellesi, spesso sbiellati, e non riusciamo a essere altro. Nemmeno quando dovremmo.
Lele Ghisio
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