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Laura Giusso: «Sono orgogliosa di diventare vecchia»

Classe 1945 di Cossato, dice di essere nata per il lavoro e se manca se lo inventa. È l’atteggiamento che l’ha sempre aiutata nella vita. Ora vuole vedere crescere i nipoti

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COSSATO – Non capita spesso di incontrare una persona che ti dice: «Sono orgogliosa di diventare vecchia». E allora bisogna conoscerla. Lei si chiama Laura Giusso, classe 1945, e gli anni li ha compiuti da poco.

«Penso di essere nata per lavorare e se non ho il lavoro me lo invento – spiega -, facendo così mi sono sempre trovata bene. È un atteggiamento che mi ha aiutata nella vita, poi adesso voglio vedere crescere i miei nipoti, da tenere conto che hanno 7 anni, perciò la mia prospettiva di vita è molto lunga».

Facendo un passo indietro, Laura è originaria di località Mastrantonio, all’inizio di via Quintino Sella. «Il primo pensiero va a un signore che ferrava i cavalli e quando lo faceva si diffondeva nell’aria una puzza terribile, sapeva di garmì, di bruciato – racconta -. Si chiamava Sem e non lavorava in una vera casa, ma sotto a un portico. Non distante c’era un posto dove raccoglievano stracci. Era lo strascit, lo stracciaio. Parlo di quando ero piccola. Oggi ne ho 78 di anni, accadeva 70 anni fa. Erano altri tempi. Già a 10 anni andavo a scuola da sola, facendo la strada quattro volte al giorno. Se capitava che ero in ritardo mi accompagnava papà con la canna e il tabarro, un ampio mantello nero. Ho frequentato la scuola fino alla quinta elementare. Io sono l’ultima di cinque fratelli. C’era differenza di età fra di noi. Così cosa capitava? Quando mi accompagnava uno di loro, lo scambiavano per mio papà, mentre quando mi portava papà, i compagni lo scambiavano per mio nonno».

«Da ragazzine si andava an tal serf, nel torrente Cervo, a raccogliere le felci secche che poi bruciavamo accendendo un fuoco – racconta ancora -. Ci portavamo qualcosa da casa per fare merenda, magari pane e salame. Andavamo spesso anche nella pineta, che si trovava oltre la frazione Picchetta, sulla strada che porta a Lessona, in cui trascorrevamo grandi pomeriggi. Di particolare non si faceva niente, giocavamo e chiacchieravamo. Ci arrivavamo anche passando da via Spinei. Un giorno non siamo riusciti a fermare il fuoco e siamo andati a scuola con l’angoscia. Andavamo anche a rubare le ciliegie e una volta siamo stati sorpresi dal padrone della pianta. Un tempo i frutti erano un bene prezioso della campagna. E così scappa, scappa… uno di noi si era fatto la pipì addosso. Ovviamente sappiamo a chi era accaduto, ma non si dice. Erano gli amici che ancora oggi frequento: la Mirella, l’Ilvo e la Rosanna. Anche a distanza di anni ci troviamo per andare a mangiare la pizza insieme».

Nella vita Laura ha fatto sempre la rammendatrice. «È stato un mestiere che non mi ha mai dato difficoltà, quando volevo cambiare ditta. Negli ultimi anni ero stata in piccoli rammendi artigiani e dal signor Ottavio Crotti di Lessona. Della sua fabbrica conservo un bellissimo ricordo. Se ci penso, mi viene in mente quando mi aveva detto che lui non era un imprenditore, ma il padrone. Erano altri tempi, ma era un uomo giusto. Io lavoravo e lui mi pagava e andava bene. Sono andata in pensione nei primi anni Duemila, dopo è iniziata la crisi forte del tessile. In seguito mi sono dedicata al volontariato in Croce rossa, per 14 anni. È stato un ambiente che mi ha dato tanto. Ho solo buoni ricordi. Poi sono passata a fare la nonna di due gemelli, Anna e Giacomo. Sono orgogliosa di loro, e anche lì mi hanno dato tanto. Sono poi tornata a fare volontariato con il gruppo di don Alberto Boschetto nella parrocchia di Gesù Nostra Speranza. E mi sto trovando bene. Facciamo accoglienza per donne. È un servizio che penso sia un fiore all’occhiello della nostra comunità. Noi ci definiamo “l’armadio”, perché doniamo abiti e accessori per la casa a chi ne ha bisogno. Siamo un bel gruppo, collaboriamo tutte allo stesso modo. Mi dedico all’attività di volontariato due volte alla settimana. Sono fatta così, se non ho un lavoro, me lo invento. Penso di essere nata per lavorare e mi trovo bene».

Anna Arietti

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