Attualità
La quotidiana guerra delle parole
Gli sbiellati: una rubrica per tentare di guardarci allo specchio, e non piacerci
BIELLA – Non è facile scrivere di beghe locali su un giornale locale quando fuori il mondo intero esplode. Non è facile mantenere il controllo di sé senza manifestare l’imbarazzo che ci coglie a disquisire sui minimi sistemi quando ogni giorno ci viene imposto di confrontarci coi massimi, senza timore d’essere accusati d’eresia. Come riuscire a far coincidere i due mondi che convivono nella nostra quotidianità? C’è da far caso al linguaggio, oggi più che ieri e forse anche di domani, perché è probabile che ci si dimentichi facile e si torni ai (mal)costumi di prima.
L’incipit di questo pezzo è già dichiarazione d’intenti, un’iperbole dichiarata e in bella vista. Senza pudore, aggiungerei.
Perché a esplodere davvero sono case e palazzi, e pure persone, in una guerra a portata di low cost che c’impressiona più di ogni altra proprio perché vicina.
Una guerra che accade proprio nel momento storico in cui, di funerale in funerale, stiamo salutando l’ultima delle generazioni che ci potevano raccontare quella vissuta sulla pelle delle nostre famiglie. Eravamo così pronti a dimenticarcene che lo stupore è stato grande, abituati come siamo alle guerre altrove ma non qui. Occhio non vede, cuore non duole: da un’ottantina d’anni per noi la guerra è fiction da cinema o telegiornale all’ora di cena.
C’è da far caso al linguaggio, si diceva appena prima della digressione inevitabile, e porre attenzione alle iperboli che ci sfuggono così spesso di bocca non sarebbe male. C’è da farlo sui giornali, ma c’è da farlo anche nel nostro quotidiano vivere. Ci sarebbe d’ammazzare quest’abitudine (visto com’è facile?) che ci è venuta, man mano e chissà come, di esasperare ogni significato con la significanza d’un iperbole o di una metafora avventata. Cosa che accade troppo di frequente con la guerra che ci siamo fin qui solo immaginata. “Guerra tra Comune e commercianti” titolava solo qualche mese fa questo giornale, a cui faceva seguire il seguente catenaccio: “A lanciare la bomba incendiaria della polemica…”.
“Attimi di paura”, capita spesso di leggere in un titolo a proposito d’uno spavento. Chissà quali attimi di paura ha vissuto e sta vivendo, chi è invece costretto sotto a un cielo di bombe. E che dire delle sempre più frequenti bombe d’acqua in luogo di temporali e acquazzoni particolarmente intensi, o altrettanto spesso anche meno d’intensi? La scorsa estate mi capitò d’esserne sorpreso all’aperto e inerme, ma non tornai a casa ferito e sanguinante. E nemmeno mi venne in mente di fuggire da amici all’estero in attesa di un tempo migliore. Qualche confine, e qui è il caso di dirlo, andrà pur messo a questa distorsione semantica e bellica.
C’è stato un tempo in cui la guerra era chirurgica e le bombe intelligenti, ora è il tempo di operazioni militari speciali: la guerra vera non vuole parlare di sé. La guerra c’è rimasta invece sulla punta della lingua: quando non serve, però. Facciamo la guerra al cancro al Covid e, almeno speriamo, a un certo grado di stupidità. All’inizio dell’era del Corona virus abbiamo imbracciato la retorica di guerra e poi abbiamo avuto la dittatura sanitaria: omeopatica, però.
Costretti a relativizzare, ci perdiamo noi e il senso delle proporzioni: perché non è guerra, quella che ci fa il vicino del piano di sopra quando stende la biancheria appena abbiamo steso la nostra. Non è guerra quella tra maggioranza e opposizione in consiglio comunale. Anche se basta prendere il recente resoconto di una conferenza stampa d’opposizione nostrana a proposito dell’aumento dello stipendio sindacale (del sindaco, eh) per leggervi dentro, e proprio adesso, che “abbiamo gli autotrasportatori sul piede di guerra” e che “esplodono i prezzi”.
Quando, mi chiedo, riusciremo a emanciparci dalle metafore di guerra? Perché in tempo di pace – e noi lo siamo ancora, in pace – manteniamo così tanta guerra nel nostro dire le cose? Come se non bastasse la guerra s’accompagna alla propaganda, che risulta un’arma necessaria alle parti che ne fanno ampio uso. Allora c’è da chiedersi quanta ne abbiano fatta i nostri amministratori con lo stesso scopo, perché è certo propaganda quella del nostro sindaco quando dichiara che la crisi di giunta non c’è mai stata. E se lo dice lui, che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin gliene ha fatto “un po’ anche cadere la stima che aveva” c’è quasi da credergli. Perché la propaganda di guerra rischia di diffondere la paradossale incontrovertibilità del falso, pronti come siamo a negare le evidenze. E, se tutto è falso, a cosa serve la verità?
Lele Ghisio
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