Attualità
“La mia vita a 103 anni, tra tanti ricordi e… parole crociate”
L’intervista a Maria Vissà, classe 1920. Il 29 dello scorso mese ha compiuto la veneranda età di 103 anni
Prosegue a spasso per il Biellese questo meraviglioso viaggio tra i nostri amati anziani. Su ogni numero del nostro bisettimanale, raccontiamo una nuova storia, sempre diversa.
Se anche voi, volete essere intervistati scrivete a mauro.pollotti@laprovinciadibiella.it o contattate la nostra redazione al numero: 015/32383 o ancora telefonate al nostro redattore Mauro Pollotti 346- 7936093.
La storia che raccontiamo oggi è quella di Maria Vissà, classe 1920. Il 29 dello scorso mese ha compiuto la veneranda età di 103 anni.
La incontriamo in un reparto della Casa di riposo Cerino Zegna, dove si trova in degenza da solamente qualche mese. Malgrado l’età avanzata, gode ancora di ottima salute e una totale lucidità.
Ci accoglie con un simpatico sorriso sulle labbra: «Ricordo qualsiasi istante della mia vita – con queste parole esordisce l’anziana donna -. Sono nata a Venezia. Mia mamma si chiamava Amelia Girardini, mentre il papà Guido. I miei primi anni d’infanzia son stati davvero belli. Mi volevano tutti bene. Ero la coccolona dei nonni e dei miei genitori. Mi piaceva tanto andare a scuola, ero una delle allieve più brave».
Che scuole ha fatto?
«Le elementari, cinque anni di ginnasio e poi mi iscrissi all’Università di Padova, dove mi laureai nella facoltà di matematica».
I suoi genitori invece di che cosa si occupavano?
«Il papà era un cassiere del Banco Ambrosiano, mentre la mamma aveva studiato per fare la maestra, ma appena dopo il matrimonio decise di dedicarsi alla famiglia a tempo pieno».
Quanti figli eravate?
«Tre. Avevo una sorella Annarosa che faceva l’insegnate di lettere, mentre mio fratello Alberto studiò da medico, Purtroppo sono mancati entrambi».
Di quando era ragazzina, che ricordi ha?
«Non ne ho molti. Ho fatto l’Università durante la Seconda Guerra Mondiale, nel mentre insegnavo matematica alle scuole elementari di Mestre. Per raggiungere la scuola dovevo attraversare tutto il nodo ferroviario. Ricordo che quando suonava l’allarme antiaereo, una mia allieva puntualmente presa dal panico sveniva. Dovevo prenderla in braccio e portarla al rifugio».
In che anni arrivò l’amore?
«Durante il periodo bellico, mia mamma non voleva che io e mia sorella ci fidanzassimo, diceva che se poi i morosi venivano a mancare restavamo delle spose bianche. Però di fronte casa mia abitava la famiglia di un bel giovane che si chiamava Pietro, era un ingegnere elettrotecnico, viveva a Milano ma di tanto in tanto veniva a trovare i genitori a Venezia. Le sue sorelle erano nostre amiche. A me lui piaceva tanto, insomma, quella regola imposta da mamma venne infranta. Dopo un mese di frequentazione decidemmo di sposarci (nella foto, il giorno del matrimonio, ndr). La cerimonia si tenne nella chiesa di San Giovanni Paolo di Venezia. Era il 2 settembre del 1946. Mia suocera acquistò una casa tutta per noi, andai così a vivere anch’io a Milano».
Una nuova vita in Lombardia quindi.
«Certo. Mio marito lavorava per l’Azienda elettrica municipale. Con il tempo fu promosso a vice direttore tecnico, io invece facevo la casalinga. Imparai un sacco di cose ad esempio cucire. Realizzavo dei vestiti splendidi, anche da cerimonia».
Dalla vostra unione nacquero dei figli?
«Sì, due: Sandra e Paolo. Nel 1977, ci trasferimmo nel Biellese. Mio marito era in pensione. Approdammo in terra laniera perché il fidanzato, che poi divenne il marito di nostra figlia, era di Biella, mentre Paolo invece decise di restare a Milano. Acquistammo una villa bifamiliare al Vandorno, quindi in una porzione vivevamo io e Pietro, mentre nell’altra nostra figlia con suo marito».
Quando rimase vedova?
«Nel 2000. Quando morì, Pietro aveva 87 anni. E’ stato un uomo eccezionale. Era una persona onestissima, molto religioso, non abbiamo mai discusso, insomma, fu un rapporto davvero favoloso».
Ha vissuto a casa sua fino a quanto tempo fa?
«Fino a quattro mesi fa. Purtroppo a causa di una grave lussazione della protesi dell’anca non riesco più a deambulare, quindi ho preferito trasferirmi in casa di riposo dove sono assistita e benvoluta da tutti».
Come trascorre le sue giornate?
«Faccio le parole crociate Lo sa che sono utili per la memoria? Guardo la televisione, Mi piace la trasmissione “I soliti ignoti”».
Mauro Pollotti
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