AttualitàBiella
La carriera musicale del batterista Daniele Albarello
«Ho suonato con Alice e con gli Albatros, il gruppo di Toto Cutugno, con i quali incisi il brano “Africa”»

La carriera musicale del batterista Daniele Albarello. Un batterista che in passato ha fatto parlare di sé nel panorama musicale italiano. Ha suonato con grandi artisti del calibro di Alice e Toto Cutogno. Classe 1954 ha il ritmo nel sangue fin da bambino.
La carriera musicale del batterista Daniele Albarello
Partiamo dal principio. Dov’è nato?
Sono nato in Francia, a Lille, il 20 novembre del 1954.
Che scuole ha frequentato?
Ho studiato ragioneria e poi ho fatto altri quattro anni a Cremona sulla didattica della musica. È un attestato che fece sì che diventassi insegnante alle scuole medie.
Ci racconta qualche aneddoto che da bambino le ha permesso di avvicinarsi al mondo della musica?
Quando avevo tre o quattro anni abitavamo a Torino. Un giorno andammo nelle Langhe, dove aveva vissuto mio padre, e c’era un orchestra che suonava. I miei genitori ballavano, invece io mi ero seduto a osservare il batterista. Era la prima volta che vedevo una batteria vera e in quell’instante pensai che prima o dopo avrei imparato a suonarla. In realtà mio padre avrebbe voluto suonassi la tastiera o il pianoforte. Un giorno arrivò a casa con una tastiera Tiger, ma gli dissi che non la volevo
Quale fu la sua reazione?
Mi chiese se fossi matto. Non ricordo altro.
Immagino che quindi lei, ascoltando musica, ponesse l’attenzione soprattutto sul ritmo della batteria.
Certamente. Ora le spiego: comperammo una mansarda ad Alassio dive andavamo solo d’estate. Proprio lì iniziai a lavorare come barista. Avevo 13 anni. Andavo a comprare i dischi 45 giri in un negozio di musica. Un giorno mentre mi trovavo li entrò un ragazzo con i capelli lunghi e chiese al proprietario di poter ascoltare “Foxy Lady” di Jimi Hendrix. Io mi nascosi in un angolino per origliare, quella canzone mi piacque tantissimo a tal punto acquistai il disco, ma non avevo un giradischi. Lo dovetti quindi ascoltare quando mio padre me ne portò uno a casa.
Quando si trasferì definitivamente a Biella?
Nel 1966. Pensi che la prima cosa che feci fu quella di andare a comperare una batteria che costava 120mila lire, ma io ne avevo solamente 100. Mio padre mise la differenza. Cominciai quindi subito a suonare nel mio garage. Dopo aver preso lezioni da insegnanti noti a diciotto anni diventai un batterista.
Dove avvenne il suo battesimo del suono?
Proprio in quel periodo a Biella nascevano “Quelle strane forme”. Era esattamente il 1970, quando Leo Liuni dava vita al gruppo. Toccò quindi a lui (voce) la ricerca degli altri elementi. Scelse: Valeriano Zucconelli (tastiere), Riccardo Macchieraldo (trombone), Beppe Angelillo (sax), Gildo Zanoglio (chitarra), Gino Tiani (basso), sostituito dopo qualche tempo causa matrimonio da Paolo Rosia, e infine io alla batteria.
Che genere di musica facevate?
Il rock. A parte alcuni brani nostri, suonavamo prevalentemente canzoni dei nostri miti. Ad esempio Chicago, Deep Purple, Led Zeppelin e molti altri. Il tratto distintivo era che non eseguivamo testi in italiano. Io fui l’ultimo ad entrare a far parte del gruppo. Con gli altri sei ci fu da subito un buon impatto. Mi piacevano molto sia dal punto di vista artistico che a livello umano.
In quel periodo la musica rock era considerata il top. Bastava mettere insieme due note e le piazze si riempivano di giovani. Quali furono le vostre prime mete?
Giravamo tanto. Si andava nelle varie città del Piemonte, in Lombardia e nel Veneto. Dopo tre anni si presentò una grande occasione: quella di partire per una tournée in Sicilia. Per noi era un luogo lontano da raggiungere, ma accettammo senza esitare.
Ci racconta di quel viaggio musicale itinerante?
Ci fu proposto dal nostro impresario, che era il cossatese Mimmo Spera, una persona veramente a modo. Fu lui a prendere accordi con un suo collega siciliano. Fummo accolti da gran signori. Ci avevano preparato una sala prove da sogno, a Comiso, un piccolo paesino della provincia di Ragusa.
Quindi sette biellesi impegnati sui palchi delle città isolane. Come andò?
Benissimo. Suonammo in lungo e in largo per la Sicilia per oltre tre mesi. Io avevo da poco compiuto 20 anni. Per me era tutto nuovo un mondo che non avevo mai visto. Pensi che facevamo quattro concerti alla settimana.
Com’era il pubblico siciliano?
Favoloso, emanava un grandissimo calore e non era tirchio di applausi. Ci trovavamo a nostro agio. Poi un giorno arrivò una richiesta inaspettata. Il manager isolano ci chiese di accompagnare una cantante che aveva appena vinto il Festival di Castrocaro con una interpretazione di “Tanta voglia di lei” dei Pooh. Noi rimanemmo molto male, avremmo voluto proseguire la tournée facendo le nostre canzoni.
Invece cosa successe?
Accettammo. Qualche giorno dopo si presentò davanti a noi questa bellissima ragazza. Era accompagnata da sua mamma. Sorridendo si presento: “Piacere, mi chiamo Carla Bissi”. Era “Alice”. Suonammo circa un mese con quella ragazzina, che nel 1981 vinse Sanremo con “Per Elisa” scritta assieme a Franco Battiato e a Giusto Pio. A ricordare quei periodi mi viene il nodo in gola.
Dopo la tournée tornaste a Biella?
Si. Proseguimmo a suonare qui nel Biellese. Poi purtroppo non ci trovavamo d’accordo su molte cose, quindi decidemmo di porre fine al capitolo di “Quelle strane forme”. Era il 1974. Ognuno prese strade diverse».
La sua è sempre stata legata alla musica giusto?
Continuai a suonare. Accompagnai Alice in una tourneè. Chiusa la parentesi con lei, su indicazione di un mio caro amico, Carlo Ambrosi degli “Odissea”, mi recai a Milano nella casa discografica “Carosello”. Mi disse che cercavano un batterista. Andai per un provino e quel giorno mi sentì suonare Toto Cutugno. Fu un incontro stupendo: “Mi piace come suoni”, disse. Entrai così a far parte del suo gruppo: gli “Albatros”. La mia prima incisione con loro fu il brano “Africa”. Toto era una persona stupenda.
Dopo queste esperienze musicali, come andarono le cose?
Vinsi un concorso pubblico come insegnante di musica nelle scuole medie. Mi attendeva una lunga carriera. Diedi tanto ai ragazzi, li coinvolgevo oltre che con la teoria anche con la musica suonata, tra incontri e laboratori.
Ora come trascorre le giornate il batterista Daniele Albarello?
Sono in pensione. Mi dedico all’arte come curatore di mostre per il mio gruppo che si chiama “Onde d’Arte”.
LEGGI ANCHE: Pietruccio Montalbetti, l’anima dei Dik Dik racconta la sua vita
Continua a leggere le notizie de La Provincia di Biella e segui la nostra pagina Facebook
