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Biella restituisca all’Ecuador i reperti archeologici saccheggiati

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Dunque, pensiamo veramente di potercela cavare con una chiacchierata sul cioccolato e quattro teche in un angolo oscuro del Museo del Territorio Biellese? Pensiamo con questo di avere legittimato un saccheggio di reperti archeologici di epoca precolombiana e di avere saldato un conto, che è invece rimasto aperto e insoluto?

Il 15 aprile del 1986, il Tribunale di Biella, all’epoca presieduto da Vito Vittone, accogliendo un’istanza dell’Ecuador, Stato depredato di parte del suo patrimonio archeologico, emise una sentenza che si chiudeva dicendo: “…condanna il convenuto Canepa Ugo alla restituzione all’attore (nella fattispecie lo Stato ecuadoregno ndr.), entro giorni dieci dal passaggio in giudicato della presente sentenza, di tutti gli oggetti d’arte e reperti archeologici di cui è causa in suo possesso… nessuno escluso…”. Che ne è stato di questa sentenza?
Il “convenuto Canepa Ugo”, deceduto, fu colui attraverso il quale quei reperti approdarono a Biella.

Lui sostenne sempre di averli acquistati. I suoi legali tentarono anche, vanamente, la carta dell’usucapione sui beni mobili, che in un decennio avrebbe dovuto trasferire il possesso di quei reperti dallo Stato dell’Equador al geometra Canepa Ugo, “collezionista”. Il patrimonio archeologico, attraverso varie vicissitudini, finì poi, per volere dello stesso Canepa, in dono alla Città di Biella, che poco dopo prestò parte di quella donazione alla Città di Rimini per l’allestimento di una mostra. Terminata la mostra in terra di Romagna, i reperti tornarono in parte a Biella. Ma, non disponendo di spazi idonei, vennero “parcheggiati” nei sotterranei del Museo del Territorio. Sino a tempi recentissimi quando, forse temendo che qualcuno potesse chiedere conto del destino di quei preziosi materiali, si decise di allestire in una saletta del Museo (ricordo, Museo del Territorio Biellese, quindi con una precisa connotazione sin dalla propria denominazione) qualche teca ove collocare parte della collezione che, dunque, non solo non è stata restituita come dettava la sentenza del 1986, ma ora torna alla ribalta in virtù di quello spazio inadeguato assegnatole con una buona dose di approssimazione.

Il tutto corroborato da una dotta conferenza organizzata per disquisire sull’uso del cacao in Sudamerica in epoca precolombiana. Per porre fine a questa galleria di scempiaggini, che l’alternarsi di sei o sette amministrazioni comunali di diverso colore ha affrontato con identica goffaggine e malcelato imbarazzo, la via da percorrere è solo una: la restituzione dei reperti ai legittimi proprietari. Perché nulla può giustificare la sottrazione di pezzi di storia e di memoria di un popolo. Soprattutto quando, questo popolo, rispetto a Biella, sta all’altro capo del mondo. Una comunità che abbia a cuore la civiltà e la cultura intesa come conoscenza e non come possesso, restituirebbe all’Equador il maltolto, con tante scuse. Pur senza contarci troppo, ma alla luce della sentenza del 1986 e del buon senso, questo dovrebbero chiedere tutti i biellesi.
Giorgio Pezzana

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