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Assessore(sse) sull’orlo di una crisi di nervi

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – So di avventurarmi sul piano inclinato dell’ormai malinteso politicamente (s)corretto, ma ci provo con spirito avventuriero. Vorrei parlare di donne in un momento mediaticamente delicato, in cui ogni cosa dici può venir bellamente fraintesa, manipolata, messa all’indice da chiunque si senta a sua volta fraintes* e manipolat*. Gli asterischi li ho messi per scherzo, ma c’è chi ci crede veramente e se questo fosse un post metterei il link per dimostrarvelo.

Partiamo da lontano, ma mica poi tanto per chi ci è nato: il ‘900 è stato il secolo che ha visto le donne protagoniste. Fu allora che le donne misero in crisi la famiglia patriarcale.

E furono la componente sociale più attiva sul fronte delle battaglie per i diritti civili: divorzio e aborto su tutte. Indossarono le minigonne in anni in cui anche la sola caviglia nuda stimolava un’erezione tra i passanti più sensibili e in cui una società maldestramente definita “perbenista” le riduceva ad angeli del focolare.

Come dimenticare le battaglie per la parità di salario, peraltro ancora in corso, contro il “coefficiente Serpieri”, legge fascista che dal 1934 alla sua abolizione nel 1964 stabiliva nel 60% per cento di quella maschile la retribuzione al femminile. Fu abolita proprio mentre alla Camera dei deputati era in carica, per la prima volta come vicepresidente, una donna: Marisa Cinciari Rodano che in una recente intervista, dall’alto dei suoi 99 anni, ricorda che: «Le ragazze oggi danno per certa la loro libertà, mentre la nuova precarietà del lavoro sta mettendo in discussione tutto».

Le donne dovettero poi attendere il 1976 per vedere una di loro ministro della Repubblica, con Tina Anselmi. All’epoca s’inseriva una donna in lista quando poteva essere funzionale alla raccolta di voti, ma se era una donna con qualche prospettiva politica concreta, i maschi cattivi e depositari d’ogni disputa elettorale la emarginavano perché avrebbe tolto loro un posto. Una poltrona, si direbbe ora. Ma questo non sembra essere cambiato poi di molto, anche se, e qui prendo a prestito un’affermazione della scrittrice Michela Murgia: “la sensibilità sta cambiando a dispetto degli automatismi della discriminazione”.

Fino al 1958 la prostituzione era di Stato e fu una donna, la senatrice Lina Merlin, a lottare per la legge che l’aboliva istituendo il reato di favoreggiamento e sfruttamento. E solo un paio d’anni prima veniva abolito lo “Ius corrigendi”, ovvero il marito perse il potere educativo e correttivo con il quale poteva insegnare, anche a suon di botte, la “buona creanza” alla moglie. Fu solo nel 1981 che, anche grazie al coraggio di Franca Viola, vennero abrogati articoli di legge che riguardavano il matrimonio riparatore e il delitto d’onore. Ed è dal 1996 che lo stupro da reato contro la morale è divenuto reato contro la persona. Nel ’68 venne invece abolito il reato di adulterio che prevedeva, per la donna, il carcere. Anche se poi a Pompei una direttiva ministeriale impediva ancora alle donne l’accesso agli affreschi a soggetto erotico.

Non sembra ieri, ma quasi lo è. Forse diamo troppe cose per scontate, adesso, in questo primo secolo del terzo millennio. Adesso, che teniamo in tasca uno smartphone assieme a tutte queste conquiste che ci sembrano oggi così normali.

Veniamo al dunque, che questa volta l’ho presa davvero larga, in premessa. Oggi, almeno in politica, abbiamo le quote rosa. Riconosco di non esserne un grande sostenitore, visto che le ritengo un’umiliazione piuttosto che l’affermazione di un diritto, ma quando ci vuole ci vuole. Il problema è che averle introdotte non si è risolto sempre in un aumento della qualità politica dell’offerta; anzi, spesso ha generato mostri elettorali di diversa natura.

Non so quanti se ne siano accorti perché la cronaca locale se n’è occupata poco, mentre quella torinese di Palazzo molto di più, ma negli ultimi giorni tra le due assessoresse biellesi in giunta regionale ci sono state scintille (alert eufemismo). E non è la prima volta. L’una, legaiola, ha tacciato l’altra di “delirio” e foriera di dichiarazioni “inqualificabili” dovute alla sua “bizzarra” convinzione. L’altra, sorella d’Italia, ha tacciato l’una che con le sue “polemiche isteriche e sterili” avrebbe dovuto “tenersi le pive nel sacco”. E questi sono solo i colpi inferti a botte di comunicati stampa dalle due alleate di maggioranza. Chissà tra i corridoi di Palazzo Lascaris: assessore(sse) sull’orlo di una crisi di nervi.

Intanto a farci fare una bella figura come territorio ci pensa la stampa bene informata nel definire “bega da ringhiera” questa azzuffata, archiviandola come “lite da comari isteriche” che il presidente Cirio ha dovuto domare con un suo richiamo alla formalità del ruolo. Intendiamoci, quindi. Il punto non è il motivo politico della disputa, che già quello, tra alleati, fa sorridere. Il punto è l’essere consapevoli di dover rappresentare i cittadini dignitosamente, mentre invece, alla vista di queste insopportabili dispute, ci si volta dall’altra parte dallo sdegno.

Vero è che il sovrapporsi di norme e leggi elettorali non sempre limpidissime hanno fatto miracoli generando frotte di miracolati della politica, che hanno raggiunto posti apicali di responsabilità grazie alle congiunture di listini garantiti, rinunce e quote rosa. Come nei due casi in questione. Vale per gli uomini e vale per le donne, s’intende. Ma, come dire, tutto questo sforzo nel ‘900 per poi oggi farsi dare delle comari? Forse ci meritavamo di meglio, e le donne del secolo scorso pure.

Lele Ghisio

Ph _Paolo Martinez

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