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Adelinda, 97 anni, si racconta: “La mia è stata una vita brutta e cattiva, ma sono andata avanti con il sorriso”

Personaggio di Cossato

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Le chiediamo l’età e lei risponde 47, poi con un sorriso rilancia “97 fatti il primo marzo”. Si chiama Adelinda Prete, che tutti chiamano Adelina, e precisa che “anderìa un libro di mille pagine per raccontare la mia storia e ancora sarìa poco”.

«Sono nata a Roncade, in provincia di Treviso – spiega -. La mia è stata una vita brutta e cattiva – e il suo primo pensiero va alla nipote Elisabetta mancata all’età di 27 anni -.
I miei genitori erano contadini. A quei tempi si coltivavano le bietole, il frumento e il granoturco. Si lavorava tutto a mano. Avevamo tre mucche e una manza. Sono rimasta orfana di papà, si chiamava Giovanni, quando avevo 14 anni. La mamma, Amalia, aveva tanto bisogno di aiuto. Quando è mancato, lei aspettava ancora un bambino. Era incinta di tre mesi. Mi sono ritrovata con sei fratelli più piccoli di me da accudire, a cui ho fatto da mamma. L’ultimo nato aveva quindici mesi e avevo due fratelli più grandi. A ricordare mi viene il magone».

Adelinda intanto legge con regolarità il giornale e una rivista a cui è abbonata e che ci mostra, e fa le parole crociate, che l’aiutano a conservare la memoria.

«Ho lavorato nei campi e in casa, per altre famiglie. Lavavo i piatti – racconta ancora -. Ho sempre fatto tutto senza vergogna. È per il tanto lavoro che sono venuta forte. Tutti mi volevano bèn. Sono andata anche da una sarta, ma sapevo già cucire, perché la mamma me l’aveva insegnato. Tant’è che mi avevano dato delle asole da fare e io le avevo lavorate così bene che sembravano fatte con la macchina. Avevo 13 anni. La vita è stata quella finché un giorno un ragazzo si è innamorato di me, Andrea. Siamo stati fidanzati per dieci anni. Era di quattro anni più grande. Dopo esserci sposati, abbiamo avuto due figli: Rino e Marika. Ci siamo trasferiti a Cossato nel 1956 per motivi di lavoro. Abbiamo viaggiato un giorno intero su una vecchia Balilla autocarro, caricando tutto lì: un armadio, un letto e due valigie. In Veneto eravamo in troppi in famiglia e non c’era nulla. Rino aveva 5 anni e Marika 3. Dopo poco che eravamo qui, nel 1959, era il 17 aprile, Andrea stava lavorando negli scavi per realizzare la fogna di Cossato, in via Martiri, quando è rimasto sepolto dalla terra che gli è crollata addosso. È finita così».

Adelinda ha perso la figlia Marika con soli 47 anni e anche la nipote che ne aveva appena 27.

«Sono ventun anni che mia figlia non c’è più – aggiunge -. Sono già morti anche tutti i miei fratelli. Sono l’ultima rimasta. Mi chiedo cosa faccio ancora qui? Ricordi belli? Non saprei. All’età di 10 anni facevo le calze per i miei fratelli. Penso di avere un carattere forte, che mi ha aiutato. Una volta davo una mano anche qui, ora non più. Le gambe non mi reggono – Adelinda è ospite alla casa di riposo “Maria Grazia” di Lessona, dei comuni di Cossato e di Lessona, appunto -».

Il suo sguardo va oltre il vetro che la separa dal giardino. L’erba particolarmente verde e i fiori le illuminano lo sguardo: «Sarìano tanti ricordi, ma mi chiudono la gola… qualche anno fa mi è stata consegnata una lettera che mio marito aveva spedito settant’anni prima, ancora quando era prigioniero in Corsica, durante la guerra. Mi viene in mente anche quella volta che la nonna Giovanna, che mi voleva un bene dell’anima, mi aveva detto di andare a raccogliere le nocciole. Si trovavano sul nostro terreno. Erano tante e belle grosse. Nella vita ne ho provate di esperienze. Sono stata operata quattordici volte e sono ancora qui. Adesso, come ho detto, le gambe non mi portano più. Nella vita però, devo dire… ho ricevuto belle parole e tante consolazioni».

Prima di salutare, chiediamo di scattarle una foto. Adelinda si mette in posa, raddrizza la schiena, solleva le spalle e dice: «Il sorriso è stato la mia forza».
Anna Arietti
anna.arietti@gmail.com

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